Nobile decaduto, trattasi di uno storico albergo di passaggio verso il confine austriaco.
Sorge accanto a un famoso obelisco del secolo precedente, costruito per l’inaugurazione della strada Trieste-Austria.
Gli anni di apertura di questo Hotel furono spettatori di un grosso boom turistico per la zona : venne inaugurata un’importante linea tranviaria, nel periodo in cui la gente si muoveva ancora a cavallo.
Un grosso passo avanti per il tranquillo borgo locale.
Si rivalutarono stalle e cantine, per la realizzazione di ristoranti ed alloggi.
Costruito originariamente come “stazione per cambio cavalli”, anche il complesso in questione, dunque, subì un importante mutamento a lussuoso centro vacanze.
Ad aumentarne il prestigio, si sparse la voce di un probabile soggiorno di sir Burton, che avrebbe proprio qui iniziato a tradurre “Le mille e una notte”.
Seguirono anni di sfarzo e vitalità al culmine degli anni ’70, con la costruzione di una piscina, un bar e campi da tennis.
Ed infine, a partire dagli anni ’80, l’inaspettato declino : la manutenzione della linea venne trascurata e le tecnologie, non più così esclusive, risultavano obsolete.
L’affluenza turistica calò esponenzialmente, fino a costringere il locale alla chiusura.
Dopo decenni di abbandono, tra gli ultimi visitatori che si sono spinti fin qui, arriviamo noi.
L’atmosfera è glaciale, fredda e ovattata da una coltre nebbiosa, che costantemente avvolge queste zone.
Entriamo al primo piano. Qui regna l’oscurità.
Graffiti sui muri, onnipresenti, accompagnano tutto il cammino .
Non troviamo arredi o mobili, né qui, né ai piani superiori e la struttura sembra ripulita di ogni testimonianza di vite precedenti. Solo all’ultimo piano, resta qualche lettino ferruginoso.
Ma è incredibilmente suggestivo il gioco di luci ed ombre che filtra dagli scuri.
Scendendo nei sotterranei, si possono ammirare la cambusa, i magazzini e le lavanderie e questa volta ci imbattiamo in resti di macchinari, strumenti e stanze dalle forme bizzarre.
L’uscita all’esterno, dopo l’oscurità, sembra un ritorno alla vita dall’oltretomba.
Ma, nelle classiche condizioni umide in cui l’area versa, sembra di stare sul set di
Il bosco selvaggio, che circonda l’albergo, è avvolto dalla nebbia e si presenta con tetri arbusti neri che elevano al cielo le loro scheletriche dita su uno sfondo bianco evanescente.
Superando i tronchi caduti, si ritrova il sentiero che conduce alla piscina e ai campi da tennis.
Acqua piovana, rane e fanghiglia riempiono la vasca che un tempo contribuiva al numero di stelle dell’hotel.
Voltando la spalle ai campi da tennis, divorati dalla natura, si può tornare verso l’obelisco, unico guardiano rimasto dei fasti passati e delle odierne atmosfere decadenti.

Ricercatore, insegnante e fotografo. Ama alternare senza logica la comodità delle pantofole della sua postazione di ricerca alla macchina fotografica nei pit di concerti thrash/death ed altre azioni live, o nelle lande desolate di disastri atomici ed ambientali.