Oggi ci addentriamo in un imponente complesso industriale, dalla storia travagliata.
L’acqua nutrì la sua fortuna e poi la annegò. Stiamo parlando dell’opificio Amman, di origine ottocentesca, che comprendeva i più moderni macchinari a vapore disponibili all’epoca.
Ma non soddisfatto del primato, alcuni decenni dopo, il proprietario scelse di alimentare le macchine con i più innovativi impianti idroelettrici, costruendo per essi un intero lago artificiale.
Oltre alla buona sorte economica che ne derivò, la fabbrica andò incontro, nel tempo, a svariati eventi catastrofici : un enorme incendio nel 1916, seguito dall’occupazione austro-tedesca, che portarono alla distruzione del padiglione centrale.
Ricostruito, subì ancora due eventi nefasti, ovvero le alluvioni consecutive del ’65 e del ’66.
L’unica prova che l’Amman non riuscì ad affrontare fu quella del nuovo millennio :
dopo una trascinata agonia economica, a seguito dei danni dell’acqua, la fabbrica chiuse i battenti a fine anni ottanta.

Le linee azzurre indicano il livello raggiunto dall’acqua nel ’66
Giunti alle soglie di questo gigante, ci troviamo davanti una cittadella fortificata.
Il complesso è circondato da alte mura di cinta che finiscono in un fossato e che rendono assolutamente impenetrabile ogni lato del perimetro.
Fortunatamente scoviamo il maestoso ingresso che usavano quotidianamente gli operai.
Sulle mure del percoso, i graffiti si alternano ad alcune targhe commemorative e linee colorate che segnano l’altezza dell’acqua raggiunta nelle alluvioni.
Gli interni sono in pessime condizioni : ovunque ci sono crolli più o meno estesi, motivo per cui, come potete notare dalle foto, la luce qui non manca.
E’ tutto un susseguirsi di capannoni e colonnine metalliche, in mezzo a stupendi giochi di luce e ad “affreschi di strada”. Già perchè ogni muro, decorato e imbrattato da graffiti ubiquitari, ci testimonia il grande traffico di persone che penetrano giornalmente questo rudere.
Spulciando la cronaca locale, infatti, è facile imbattersi in articoli sul degrado dell’area, con protagonisti alcuni senzatetto e tossicodipendenti.
Noi fortunatamente non abbiamo incontrato nessuno, complici anche la temperatura della giornata e lo stato di disfacimento avanzato della struttura, esposta a piogge e umidità.
Oltre ai soliti muri dello scheletro strutturale, troviamo alcune specie di centraline e qualche macchinario arrugginito.
Dall’ingresso, se si prosegue diritti ci si trova a fronteggiare grovigli di piante infestanti, mentre sulla destra bisognerebbe quasi portarsi un falcetto, tanto sono fitti e intricati i rovi.
Con un pò di pazienza arriviamo comunque allo spiazzo centrale, al cui centro svetta una sorta di palazzo simile a una torre, esteticamente molto diverso dai capannoni visti finora.
Entrando, tuttavia, lo scenario torna ad assomigliare tristemente a quanto già visto: graffiti, devastazione, crolli e probabilmente amianto o qualche suo derivato.
Per ammirare qualcosa di più suggestivo, bisogna addentrarsi nell’ala sinistra del complesso.
Qui il cotonificio si dimostra più generoso, infatti è rimasto il camino della fornace e tutta la sala macchine, imponente e davvero interessante.
Questa esplorazione è un tuffo nel passato.
Una riscoperta delle realtà industriali più antiche d’Italia, che ha dato lavoro ad intere generazioni.
Nonostante sia deturpato, vandalizzato ed in parte snaturato, rimane un luogo che, pur non esaltandoci nell’esplorazione, ci ha fatto sognare ad occhi aperti.
Ci ha permesso di vagare con la mente, tra capannoni brulicanti di operai ed antichi macchinari a vapore.
Per sfogliare altre foto del cotonificio, fai click qui per andare all’album completo su Fb.

Fondatore ed admin di Ascosi Lasciti, creato per radunare alcuni tra i migliori esploratori urbani, da sempre innamorato dei luoghi dimenticati. Vincitore di numerosi premi internazionali in ambito documentaristico e reportaggistico. Si occupa essenzialmente di videomaking, fotografia e graphic design.