Ci siamo imbattuti in questa mastodontica villa abbandonata navigando in rete, in cerca di luoghi da poter esplorare.
Dalle immagini e dalle informazioni, risulta essere un ex casinò, ad oggi completamente abbandonato.
Decidiamo dunque di cercare maggiori informazioni e, soprattutto, di verificare la possibilità di accedere al sito.
Per verificarlo, ci presentiamo sul luogo, armati della nostra attrezzatura.
Siamo sulla scalinata e stiamo per entrare. Sembra quasi di ritornare indietro nel tempo.
L’odore nauseante di fumo e di sudore delle tre del mattino. A quell’ora, il logorio interiore tipico del gioco d’azzardo, un misto di avidità-paura-tensione nervosa, diventa intollerabile. I sensi si risvegliano e si torcono per il disgusto. Siamo al Casinò.Liguria, 1871. A risvegliare il sopito borgo di pescatori per toglierlo dalla sua vita di provincia e proiettarlo finalmente in Europa, arrivò la Società Anonima Ferrovia Alta Italia (S.F.A.I.) la quale si impegnò con lo Stato italiano a realizzare, la linea ferroviaria che doveva arrivare fino al confine francese.
Nel 1883 vennero costruiti, per primi, un Grand Hotel e la sontuosa villa in questione.
Sono questi gli anni in cui cominciarono a prendere corpo quei settori dell’economia che principalmente avrebbero caratterizzato il futuro della zona : il turismo e la floricoltura.
La villa è immersa in un lussureggiante parco di circa 14.000 metri quadri, ricco di piante.
Iniziata nel 1883, venne completata l’anno seguente dall’artefice, architetto, Biasini di Nizza (1841-1913).
Coadiutori furono i signori Jeausoulin di Mentone e Bonfante di Sanremo; impresario fu il signor Marmaglia di Torino.
Decoratore fu il pittore Morgari, ispettore del museo di belle arti di Torino, mentre i signori Meroni, Fosati, Pavesi e Crespi furono i fornitori del resto.
Si distingue dagli altri edifici per la tipologia di architettura sfruttata, propria delle costruzioni di carattere mondano, e per la particolare destinazione d’uso.
E’ un edificio che appartiene all’eclettismo di matrice francese, al periodo cosiddetto “rinascimento francese” e, più precisamente, siamo negli anni in cui agli elementi caratteristici dell’architettura del Rinascimento italiano, fatti propri dal R.F., si aggiungono le ricche decorazioni che caratterizzano il II Impero.
Il più illustre interprete di questo periodo fu J.L.C. Garnier, mentre l’edificio a cui attinse lo stesso Biasimi per la costruzione di questa villa fu il Casinò di Montecarlo, realizzato dallo stesso Garnier tra il 1878 ed il 1879.
Percorrendo i vialetti che attraversano il parco, si giunge ad una elegante scalinata centrale che ci conduce nell’atrio della Villa, fulcro di tutto l’edificio.Questa zona risalta sia per la sua forma ottagonale che per le notevoli dimensioni; inscrivibile in un quadrato di 11 metri di lato, ha una superficie di circa 100 mq ; è coperto da una cupola, anch’essa ottagonale, che purtroppo è crollata nel 1989.
Era una cupola “leggera” formata da uno scheletro in legno e da due calotte, e terminava con un lucernario, per una altezza complessiva da terra di circa 25 metri.
Dall’atrio si accede a 3 sale: quella posteriore adibita a bar, attraversata la quale si accede ad un lungo corridoio di servizio di 60 metri, e due laterali su ognuna delle quali si apre una galleria di circa 180 mq di superficie e una altezza di circa 9 metri che a Sud si affaccia su un porticato. Quindi l’edificio termina, ai lati, con due ulteriori sale di circa 90 mq ciascuna; ognuna è coperta parzialmente da una volta a padiglione in mattoni, di pianta quadrata, per una altezza complessiva da terra di circa 20 metri.
Anch’esse esternamente sono ricoperte da lamine in metallo e, con la cupola centrale, caratterizzano in modo evidente la villa. Lungo il prospetto principale corre inoltre un camminamento che termina ai lati con due terrazze semicircolari.
La sua destinazione iniziale fu casa da gioco; quindi fu concepita come luogo ricreativo, nel quale gli “ospiti” della Riviera, l’aristocrazia di tutta Europa ed in particolare quella orientale, potevano ritrovarsi per giocare e divertirsi attorno ai tavoli verdi o per conversare sugli argomenti più diversi al circolo. Sotto la direzione della Società che gestiva anche il Casinò di San Pellegrino, prima, e dei fratelli Tedeschi, poi, vennero organizzati incontri mondani, congressi, simposi, cerimonie e serate musicali di rilievo. Divenne famoso per i suoi matinée, così definiti anche se avevano inizio alle ore 15,30, per permettere al bel mondo di essere presente dopo le ore piccole trascorse intorno alle roulettes.
All’arrivo di ogni treno veniva messo a disposizione dei clienti un piccolo omnibus, inizialmente trainato da cavalli e successivamente a trazione meccanica, li portava direttamente dalla stazione alla villa.
Su licenza rilasciata dal Sotto Prefetto di Sanremo, ospitò così il primo Casinò d’Italia dal 1884, anno della sua inaugurazione, sino al 1905, quando la Società che lo gestiva cedette la licenza alla città.
Da allora continuò solo come circolo privato, potendo comunque contare su un turismo di eccellenza sino a quando i venti di guerra nell’agosto del 1914 posero fine al felice periodo di un’epoca passata alla storia come “Belle Epoque”. All’inizio della II guerra mondiale, già chiusa da anni, la Villa ospitò reparti militari sino alla conclusione del conflitto.
Successivamente subì alcune trasformazioni e venne adibita a residenza privata sino alla fine degli anni ’50. Rimasta vuota e disabitata è stata abbandonata al suo destino fatto di incuria e decadenza.
“Il gioco d’azzardo è il miglior modo per ottenere nulla da qualcosa.”
Una domenica pomeriggio d’inizio aprile è il giorno scelto per visitare la villa. Accompagnato da mia figlia, mi reco sul luogo, situato a ridosso della strada principale.
Dall’esterno è quasi impossibile scorgere le mura della struttura a causa della vegetazione rigogliosa.
Dopo un breve giro intorno al muro di cinta, troviamo una via d’accesso attraverso un cancello lasciato aperto; probabilmente non siamo i primi ad aver scelto di visitare questo luogo.Lo stato di abbandono è percepibile fin dai primi metri: l’erba alta, i cespugli rigogliosi sono tutti segni di profonda trascuratezza.
Ci incamminiamo lungo la scalinata ed ecco spuntare, tra i rami degli alti alberi, la parte superiore dell’edificio. A questa distanza l’ex casinò appare in buono stato, maestoso nella sua facciata decorata e nelle colonne con capitello corinzio. Ma un’occhiata più attenta rivela il disfacimento dell’edificio: gli arbusti quasi si confondono con le decorazioni in pietra e il giallo vivo delle mura è ormai sbiadito.
La scalinata conduce a quello che una volta era il portico: le colonne avvolte dai rovi sono ormai le ultime testimoni di ciò che, in passato, era l’entrata dell’edificio, distrutta in seguito a un incendio.
L’incidente, probabilmente causato accidentalmente da vagabondi, non ha risparmiato nemmeno l’area est e l’imponente cupola ottagonale.
Dopo aver scattato alcune foto all’esterno, ci avventuriamo in quella che doveva essere la sala principale. Essa presenta su un lato un alto caminetto, probabilmente un volta rivestito di marmo, ma ora costituito solo da nudi mattoni. La stanza è molto ampia, ma priva di qualsiasi tipo di arredo ad eccezione di detriti e legni spezzati.
E’ difficile immaginare come il silenzio di questo luogo possa aver sostituito le risate e le “chiacchierate” allegre di chi frequentava il casinò, così come all’odore di alcool e sigari sia subentrato un leggero odore di umido.
Un tempo dovevano esserci pesanti tende appese alle alte porte-finestre per filtrare la luce esterna dei lampioni; ora la luce del sole entra liberamente nella stanza, disegnando grandi ombre sul pavimento.
Dopo aver compiuto un ultimo giro intorno alle mura dell’edificio, ci allontaniamo dalla villa, soddisfatti dell’esperienza, ma con un grosso rammarico per non aver vissuto i tempi d’oro di questo complesso.

Gianni, conosciuto come “Ferro36”, Classe 1963, fotografo e radioamatore, appassionato di storia e di computer retrò. La sua compagna di viaggio è la figlia Eleonora, amante della scrittura. Insieme formano “I Pastorino”.