Stavo partendo per un viaggio in Calabria quando il treno fece fermata in prossimità di questa fabbrica abbandonata toscana di cui ignoravo l’esistenza. Ricordo bene il grande spiazzo in prossimità della fornace con sedie riverse e scrivanie distrutte al suolo: sarei voluta scendere all’istante ma mi limitai ad annotarmi il punto approssimativo di dove era situata.
Tornata successivamente nel luogo appuntato, visitai per intero la struttura e ciò che ne rimane.
I piani superiori del grande stabile sono crollati e inaccessibili, mentre il piano terra presenta ancora numerosi macchinari immersi in scenari caotici e vagamente apocalittici.
Le prime notizie di questo complesso si hanno nel 1774, ma si suppone che la sua nascita sia precedente. Posta in posizione strategica in prossimità del fiume Arno, questa fornace, era amministrata dal fattore di una delle famiglie locali più in vista. Nel 1820, circa, il complesso si ingrandì con due nuove strutture, una adibita a laterizi e calcina ed una destinato al lavoro ‘sottile’. Con la morte, nel 1842, del fattore, la proprietà passò ad un ramo della famiglia sotto la direzione del Cavaliere Alessandro.
Fu il figlio di quest’ultimo, Vittorio che animato da un forte spirito imprenditoriale rianimò la produzione della fabbrica importando nuove tecniche dalla Francia, Nazione d’origine dei nuovi proprietari. Iniziò una stagione felice nel 1862, quando venne inaugurata la strada ferrata Firenze-Arezzo e, nel solito periodo, Firenze divenne capitale. Nel 1860 la fornace contava già 24 addetti ma, negli anni seguenti, aumentarono ulteriormente. Nel solito periodo fu costruita anche una nuova stazione ferroviaria, che contribuì ad ultimare il totale sviluppo della fabbrica. Con la morte di Vittorio, l’impianto fu ereditato dalla sorella che incaricò, come dirigente tecnico, un famoso ingegnere del tempo. Quest’abile mossa portò ad un incremento della produzione e all’investimento del capitale in nuove apparecchiature. Nel 1881 l’impianto fu venduto ad una società privata. Gli anni ’20 furono il periodo di massima produzione della fabbrica che dava lavoro a circa 200 persone: la lavorazione riguardava specialmente tegole, mattoni e piastrelle.
Il declino della fabbrica si avviò con l’inizio della Grande Guerra, quando l’edificio venne sequestrato e usato come deposito di munizioni. Tuttavia, nonostante i ripetuti bombardamenti, nel 1955 riprese vita e la sua produzione si avviò per una seconda volta. A seguito di una crisi di mercato nel settore del grès smaltato lo stabilimento passò nel 1976 sotto una nuova società, che dopo vari investimenti, non sempre conclusi a buon fine, avviò nel 1980 la produzione di cotto smaltato.
La forte speculazione edilizia sull’area, la mala gestione dello stabilimento e i gli alti debiti causati da bollette mai pagate (per un totale di 200.000 euro) costrinsero i 34 operai dell’industria ad una cassa integrazione forzata della durata di due anni.
Il definitivo fallimento della società e la chiusura dello storico stabilimento furono decretati nel 2011.

Elvira Macchiavelli fa parte del gruppo toscano. Studia scienze della formazione a Firenze, coltivando l’interesse per la scrittura. Molto attiva nel panorama urbex nazionale, ha un canale youtube “Where Elvi production urbex trip”, un blog “Urbex at Info!” e ricopre inoltre il ruolo di membro fondatore del sito “esplorazioniurbane.it”.