La “pasticca dell’abbandono” è il rimedio a qualsiasi male, tanti ne ho avuti (di veri e di immaginari) durante questa estate. Decisi di prenderla subito, appena mi si prospettò l’ occasione, e di buttarla giù con un sorso di birra belga. Ma prima ricordiamoci di assaporare un po’ di buon vino francese, perché è proprio dalla Francia che questo breve diario di viaggio della mia esperienza estera ha inizio : Vive le France!
Parliamo di esplorazione urbana come scoperta, arte, e in questo caso turismo: i turisti dell’abbandono sono infatti coloro che sono disposti a prendere un aereo e a macinare chilometri in ‘terra straniera’ per esplorare luoghi in decadenza unici e affascinanti.
Le due facce discordanti di quella che è nata come passione dal forte imprinting nichilista adesso rivisitato in chiave consumistica: si spende per l’aereo, per la benzina e per tutte quelle che sono le necessità di un viaggio…alla riscoperta di luoghi fetidi e abbandonati?!
Si, esatto perché ci piace, perché ci fa stare bene, in compagnia di altri urbexers, tra gli scenari che più amiamo.
La prima location di questa giornata afosa e piovosa si trova tra i campi francesi, dove i covoni di grano sono in decomposizione e i trattori passano noiosamente su di una strada stretta. Lo Chateau du Cheval, come l’ho ribattezzato io, è poco più che una piccola villa.
La struttura regale ci accoglie nell’ampio salone centrale con i rilievi di legno che inneggiano alle arti. Sui lati opposti del salone, due specchi ( uno è mancante) con sotto i caminetti. Essendo tre esploratori, con un tacito accordo, ognuno si ritaglia il suo spazio nelle stanze libere (senza fiondarsi tutti nel salone d’ingresso impedendo così di fotografare o riprendere). Io mi butto sulla destra: una stanza stretta e grigia, con le pareti di legno ed un’antica vasca da bagno come soggetto da immortalare. Tra i vetri delle finestre, la vegetazione tormentata dal vento sembra sussurrare: “Sei in Francia…Vive la France!”
Come seconda tappa dello Chateau conquisto il salone e poi, quale meraviglia, la scala in ferro battuto che, ampia, come un’onda del mare, si allarga alla base per accogliere le nostre impronte. Il piano superiore non contiene niente di particolare: gran parte è infatti crollato, e alcune stanze sono piene di sola spazzatura.
L’ultima sala da visitare l’ho ribattezzata ‘sala dei mori’. Una stanza rivestita di legno bianco con intarsi verde acqua, un singolare armadio incassato a parete e, rare (per noi italiani) sono le pitture dei mori ritratti durante danze e banchetti. La struttura risale al XVII secolo e l’ultimo proprietario rimase nella proprietà fino al 1976 vivendo in una sola stanza.
Adesso è un luogo dimenticato ma ricordato da molti che ne varcano la soglia per puro piacere di visitarla.

Elvira Macchiavelli fa parte del gruppo toscano. Studia scienze della formazione a Firenze, coltivando l’interesse per la scrittura. Molto attiva nel panorama urbex nazionale, ha un canale youtube “Where Elvi production urbex trip”, un blog “Urbex at Info!” e ricopre inoltre il ruolo di membro fondatore del sito “esplorazioniurbane.it”.