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Oggi vi porterò all’interno di una cartiera abbandonata. Alcuni di voi ricorderanno David Lynch per il tormentone nato dalla sua più famosa serie tv nel lontano 1990: “Chi ha ucciso Laura Palmer?” Forse qualcuno lo ricorderà per qualche film cervellotico, tipo “Velluto Blu” o “Inland Empire” (annotatevi quest’ultimo titolo che ci servirà più avanti).
Personalmente credo che vorrei che tutti lo ricordassero per “Eraserhead”, a mio parere il film più emblematico del nostro cineasta. Ecco, proprio questo film ci sarà utile per introdurre un’altra passione dell’autore : l’esplorazione urbana. Il film è infatti carico di atmosfere e luoghi che indubbiamente ricordano i posti abbandonati da noi tanto amati ed è allo stesso modo, surreale.
La trama non è lineare. Contiene molte sequenze oniriche che si mescolano con l’intreccio principale in modo indistinguibile, generando un film….labirintico, proprio come lo sono le dispersive strade delle esplorazioni urbane. In pratica si potrebbe vedere, in questo film, una trasposizione simbolica dell’urbex, su cellulosa. Personalmente ho avuto modo di vistare la mostra bolognese del nostro Lynch in versione “urbexnauta”: “The factory photographs” e ne sono rimasto estremamente colpito.
Quello che ho trovato affascinante è stato il suo modo di raccontare l’abbandono enfatizzando il mistero, creando immagini suggestive e cariche di suspance, immagini che sono una sorta di “continuum visivo” con Eraserhead.

Forte delle suggestioni visive che mi ha suscitato questa mostra, ho deciso di fare una nuova esplorazione e di tentare di sollevare le stesse emozioni di suspense, attesa, ambiguità che mi hanno dato le immagini di Lynch.
Serviva una location adatta. Pertanto mi sono deciso ad andare a esplorare una vecchia cartiera abbandonata conosciuta da tempo, ma che per un motivo o per l’altro, non avevo mai visitato. I primi dati relativi alla produzione di carta nella zona risalgono al 1772, per tutto il 1800 varie piccole attività di produzione di carta si svilupparono lungo il fiume. Verso la metà dello stesso secolo queste piccole attività produttive iniziarono ad aggregarsi in agglomerati produttivi sempre più ampi.
Nel 1881 nacque la grande cartiera abbandonata e, agli inizi del ventesimo secolo, subì rapidi e profondi cambiamenti. Nonostante il grande successo, nel ’38, la famiglia che la possedeva fuggì dall’Italia, per via delle leggi razziali e la cartiera passò sotto il controllo del governo. Tornati a fine guerra, i proprietari riebbero la loro proprietà, che crebbe così tanto che a metà secolo vennero acquistati nuovi terreni e venne fondata una nuova fabbrica affiliata.
Il gruppo raggiunse il periodo di massima espansione negli anni ’60, mentre il declino iniziò nel decennio successivo.  Le cause furono varie: la concorrenza straniera, la chiusura della ferrovia che arrivava fin dentro alla cartiera e innumerevoli alluvioni che minarono la stabilità finanziaria del gruppo. La cessazione definitiva della attività, in questa cartiera abbandonata, avvenne il 1 agosto 1977.

Ho visitato molti luoghi abbandonati diversi tra di loro : ville, chiese, ospedali e quant’altro.
Ma devo dire che le vecchie fabbriche sono quelle più affascinanti e misteriose.
Ma da dove nascono questi aspetti “occulti” ?
E come mai, in generale, proprio le fabbriche sono spesso annoverate tra i luoghi urbex più misteriosi?
Misterioso è ciò che non ha risposte, l’insondabile, quello che è incerto e naviga nel mare della speculazione. Visitando una villa è facile indovinare con relativa sicurezza a cosa fossero preposti i vari locali.   Lo stesso vale per le chiese, per le colonie.
Il più delle volte per questi luoghi il mistero è limitato a chi avesse vissuto in quel posto ed al motivo dell’abbandono.
Nelle fabbriche è diverso : più spesso si conoscono i motivi dell’abbandono ma difficilmente si riesce a capire il significato degli spazi, la loro ragione di essere, il loro utilizzo.
Il luogo in questione è immenso.  I vani sono di grandezza ciclopica, alcuni ridotti a meri scheletri, altri ancora parzialmente integre.
Una della strutture più particolari che abbia visto in questa esplorazione è un intero palazzo completamente sigillato: ogni finestra e porta era sbarrata con pannelli di alluminio sigillati con schiuma espansa.
E l’interno (non proprio tutto-tutto era sigillato) risultava ancora più particolare. Il pavimento era coperto da montagne di una sostanza di natura ambigua. Poteva essere terra, come una qualsiasi sostanza tossica. A farmi propendere per questa seconda ipotesi è il fatto che queste “montagnuzze” fossero coperte con pesanti teli in plastica.
Altra particolarità di questa cartioera abbandonata? Il palazzo era vuoto nella parte centrale.
In parte era un vuoto architettonico, dovuto alla progettazione dello stesso, in parte era un vuoto strutturale, dovuto a crolli provocati da anni di mancata manutenzione.
Cosa veniva prodotto qui dentro? E come mai una caldaia grande “come una casa” era in cima al palazzo?
Il giro completo del luogo è stato un susseguirsi di scoperte di stranezze e di domande senza risposta e, mentre vagavo per la cartiera, continuava a tornarmi in mente Lynch, con le sue immagini dai neri tanto intensi, con le inquadrature surreali, visionarie e labirintiche.

Ed ecco che all’improvviso un incrocio di scale che non si sa nè da dove vengano nè dove portino mi fanno ricordare qualche immagine vista alla mostra.
Credo che il bello dell’esplorazione urbana sia proprio questo: lasciarci affascinare da un luogo, fare in modo che ci parli, anche solo per fare domande alle quali non risponderà o per spingerci ad affermazioni che possono apparire prive di senso.
Credo che per praticare Urbex occorra essere un poco folli ed un poco bambini: folli per accettare i rischi che si incontrano visitando certi posti; bambini perché davanti a certe stranezze occorre lasciare perdere la logica ed il raziocinio a favore della fantasia.
Allora tutto si trasfigura. Le porte divengono varchi tenebrosi. Le finestre diventano occhi.
E basta immaginare sottosopra quello che si vede per trasportarsi da una vecchia cartiera ad una “antichissima base aliena“.

Amo l’industria. I tubi. Amo la melma ed il fumo. Amo le cose artificiali. Mi piace vedere la gente al lavoro e mi piace vedere fango e rifiuti di origine antropica
Questa era una delle frasi di Lynch a corredo della mostra di Bologna.  Mi rendo conto che, sotto certi aspetti, amo le stesse cose: il prodotto artificiale dell’uomo è qualcosa di affascinante. Posti tipo questa cartiera  abbandonata sono come “cattedrali consacrate al lavoro”.  Sono rovine di un mondo in via di estinzione, inni al progresso fallito.
Esplorazione urbana come visita ad un museo di storia artificiale? In un certo senso sì.
La fabbrica diventa allora un documento storico, la traccia di un passato che sembra quasi impossibile poter tornare. Ma l’esplorazione urbana resta, soprattutto, una giro di giostra, in bilico tra fantasia ed ossessione. Lynch era ossessionato dai comignoli, della ciminiere, dal nero.
Ognuno di noi ha delle ossessioni, scoprirle e trovarle, a volte, può essere anche divertente…
Voi, ad esempio, che ossessione avete?
E qui serve tirare in ballo la vostra memoria : vi ricordate che ad inizio di questo “articoletto” (o “sproloquio”, se preferite) vi avevo chiesto di tenere a mente un film di Lynch?
Bene, l’origine di una delle mie ossessioni è nascosta proprio in quel film ed è un’impulso che, chi ha visto le mie foto, conosce bene…. ve ne lascio un assaggio

Grazie per aver spinto fino a qui la tua CURIOSITA’. La stessa che ci spinge a fare esplorazione urbana, in luoghi pericolosi, per raccontarteli. Come sempre, raccomandiamo di NON VISITARLI, ma di seguirci solo attraverso i nostri reportage.
Se vuoi scoprire edifici abbandonati simili a questa cartiera abbandonata, cerca qui quello che più ti piace. Altrimenti guarda qui cosa si trova nella tua regione.
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