Un pantalone e un maglione di pile si trovano gettati su di una sedia, di fianco a loro, un piumino verde e una sciarpa. Farà freddo…freddissimo. D’altronde “Buzludja” significa gelido.
Mentre la spia arancione del carica batterie pulsa a intermittenza nella penombra di questa stanza d’albergo, non posso fare a meno di pensare al giorno dopo, a quando entreremo nel monumento comunista e….no, non fare previsioni. ” E se va male?”
Qualche ora di sonno e poi la bianca luce filtrante dalle tende mi dice che è tempo di andare. Dopo poco stiamo già percorrendo le strade Bulgare verso il monumento comunista. Inizia la scalata al Buzludja . La struttura è testimone del passato sovietico, nel periodo più imponente della Nazione, e rimane un ambita meta per molti fotografi. Posto a 1441 metri sul livello del mare sull’omonima montagna dei Balcani, fu inaugurata nel 1981 come tributo al partito socialista Bulgaro.
Infatti, nel 1891, il capo partito Dimitar Blagoev si radunò segretamente con il suo gruppo proprio in questa zona per formare il partito socialdemocratico Bulgaro. La grande struttura di cemento del Buzludja ha una forma ellittica (molti lo paragonano ad un ufo) ed è accompagnata da un’alta torre che termina con una stella rossa (dopo il suo abbandono qualcuno gli ha sparato perché si diceva che fosse fatta di rubini).
Dopo neanche metà tragitto, ci troviamo in una pesante coltre di nebbia, e gli alberi sinuosi al bordo della strada emergono a intermittenza dal bianco fumoso. A interrompere il silenzio arriva la voce metallica del tom tom: -destinazione raggiunta “Si ma dove!? Dovrebbe essere qui ma…’’
Ma non si vede niente. Parcheggiamo nel bianco, usciamo nel bianco e guardo nel bianco: non esistono le montagne intorno a noi, né so dove metto i piedi. Riusciamo a trovare le scale per il monumento e, man mano che la vista si abitua, ecco la sagoma imponente del Buzludja.
Camminiamo lungo il perimetro della struttura: il suo guscio grigio venato di ruggine è davvero opprimente.
Ecco poi il buco: lo stretto passaggio porta a delle scale di cemento grezzo. Posso intravedere il piano terra e l’entrata principale, adesso sembra di percorrere un’astronave abbandonata tanta è la penombra, il groviglio disastroso di cavi e di macerie, e quella nebbia penetrante da ogni pertugio della grande sala circolare. Nell’ anfiteatro, le sedute di pietra scarna affiorano dai pavimenti distrutti. Molti mosaici e ornamenti di stampo sovietico (alcuni dedicati al leader Teodor Givkov) sono stati volontariamente vandalizzati in seguito ai cambiamenti politici del 1989. Da quella data il Buzludja verte in uno stato di profondo abbandono anche da parte del partito comunista, che non ha nessuna intenzione di rivalutarlo.
Per non darci fastidio nelle fotografie decido di esplorare il corridoio circolare esterno che abbraccia la sala: le finestre sono dei grandi buchi rettangolari nel cemento che fanno entrare nebbia umida e vento gelido: per terra si trovano pozzanghere e frammenti di mosaici distrutti. Come rumore, un continuo e sordo sibilare delle correnti e lo scricchiolare dei mie passi sui mattoni.
Alcuni mosaici mostrano un’ideale mondo sovietico popolato da bambini felici in braccio di alcuni soldati, donne chine a lavorare nei campi e uomini dai volti seri e imponenti che si stagliano su sfondi rossi. Non esistono arredi, né pavimenti, né luci di quello che era il Buzludja del passato: provate a cercare le fotografie in internet e vi accorgerete di quanto sia stato feroce l’atto distruttivo nei confronti del monumento.
Una volta rientrata nella grande sala, mi soffermo un attimo a guardare il tetto, o meglio il telaio nudo di ferro arrugginito che sorregge la grande falce e martello con la scritta in cirillico: ‘Proletari di tutti i paesi uniti!’ (“пролEтарий от всички страни. сьEдиняваитE сE!)
Per guardarla meglio, scendo gli scalini umidi nell’eco delle gocce d’acqua di questa gigantesca postazione tra le nuvole. La scritta è soltanto un ricordo sbiadito, un motto fine a se stesso in un luogo che forse vorrebbe essere dimenticato per decadere per sempre. Ma come potrebbe mai essere possibile?
La scritta ad opera di alcuni writers sopra l’ingresso del Buzludja intima altro: ‘non dimenticarti da dove vieni’.
Ed è quello che facciamo giusto?
Non penso che il recente provvedimento di sigillare l’edificio, per l’ennesima volta, possa fermare il nostalgico pellegrinaggio verso il gelo.
Il Buzludja rimarrà sempre uno dei luoghi più incredibili da visitare, e per questo non sarà mai pienamente interdetto, finché non si sbriciolerà a terra come gli innumerevoli frammenti dei mosaici sovietici.
L’obiettivo dell’esplorazione è toccare il fondo e la cima, toccare… per vedere se la porta si apre.
Noi di Ascosi Lasciti, con l’esplorazione urbana, ci spingiamo in luoghi talvolta pericolosi, per poterli raccontare. Come sempre, raccomandiamo di NON VISITARLI, ma di seguirci solo attraverso i nostri reportage.
Se questo monumento storico abbandonato ha stuzzicato la vostra curiosità, ecco una ricca lista di edifici abbandonati. Altrimenti perché non esplorare virtualmente i luoghi abbandonati in giro per il Mondo?
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Elvira Macchiavelli fa parte del gruppo toscano. Studia scienze della formazione a Firenze, coltivando l’interesse per la scrittura. Molto attiva nel panorama urbex nazionale, ha un canale youtube “Where Elvi production urbex trip”, un blog “Urbex at Info!” e ricopre inoltre il ruolo di membro fondatore del sito “esplorazioniurbane.it”.