“Il tempo è un abisso profondo come lunghe ed infinite notti. I secoli vengon e vanno… non avere la capacità di invecchiare è terribile… La morte non è il peggio; ci sono cose molto più orribili della morte. Puoi immaginarlo? durare attraverso i secoli sperimentando ogni giorno le stesse futili cose…”
Una famosissima canzone si domandava chi vorrebbe vivere per sempre. Provate a pensarci, vi piacerebbe? Certamente l’eternità ha il suo fascino e, da sempre, l’uomo insegue il sogno di una vita che non lasci spazio alla morte. Occorre però anche guardare l’altro lato della medaglia e domandarsi, ad esempio, se si potrebbe sopportare una vita dove si è costretti inesorabilmente a perdere tutte le persone care che ci circondano. La vita eterna potrebbe essere una condanna ben peggiore della morte. Colui che è eterno è condannato alla solitudine. Non ad una vita eterna, ma ad una estremamente lunga, è stato condannato Paul Edgecombe, per aver permesso la morte di John Coffey, il miracolo vivente del signore. Paul vivrà la sua lunga vita perdendo, pezzo dopo pezzo, tutto quello che aveva, comprendendo infine che la vita era una punizione per la sua mancanza. La vita è bella e vale sempre la pena di essere vissuta, ma occorre accontentarsi e lasciare che la natura faccia il suo corso. Oggi ascolteremo le parole di un condannato per eccellenza alla vita eterna, e forse ci renderemo meglio conto di quanto questo sogno sia folle.
“Sono stanco di andare sempre in giro, solo, come un passero nella pioggia. Stanco di non avere mai un amico che mi dica dove andiamo, da dove veniamo e perché. Sono stanco soprattutto del male che gli uomini fanno agli altri uomini. Stanco di tutto il dolore che io sento ed ascolto nel mondo ogni giorno, ce n’è troppo per me. E’ come avere pezzi di vetro conficcati in testa sempre e continuamente, riesci a capirlo?”
E voi, stolti lo capite? Sono un vampiro, sono condannato alla vita eterna ed alla solitudine. La mia incapacità di morire è la mia condanna. Ho vissuto per più di cinquecento anni. Gli ultimi cento li ho abitati in questa villa, nella speranza che un briciolo di arte facesse da lenimento per il mio spirito ferito. Ho costruito questa casa cercando la luce e la bellezza dell’arte, ma le tenebre se ne sono impossessate. Ho costruito una chiesa per cercare rifugio nel mio nemico, ma non c’è redenzione per certi peccati. Sono imprigionato tra queste mura che da anni ormai sono silenziose e grondano lacrime di sangue. Reietto tra i reietti, due volte condannato all’eternità ed alla solitudine infinita mi aggiro per le stanze ormai vuote. non necessito di nulla a livello materiale, tutti i miei bisogni sono dello spirito. Ho ricchezze immense e potrei avere tutto il lusso possibile, ma di nulla necessito, mentre la mia natura mi porta a distruggere quello che vorrei : il calore umano.
Cerco la luce, ma solo la tenebra mi è amica. La solitudine è puro orrore e non c’è potere che possa guarire questo male. Posso imporre la mia volontà ad uomini e bestie. Potrei circondarmi di migliaia di schiavi per farmi servire meglio di un re, ma resterei comunque solo, poiché il vero potere non si misura nella coercizione, ma nella libertà. Non si possiede un’anima ingabbiandola, ma lasciandola libera di andarsene dove meglio crede, allora forse libera di andare deciderà di restare. Il silenzio pesa come una lapide di nero marmo, un muro che comprime la mente nell’attesa di una voce amica che lo squarci, ma la condanna è eterna e non ci saranno angeli o demoni a spezzare la sbarre del silenzio. L’eco dei mie passi è il solo suono nella mia vita, ma questo mi parla solo dei miei misfatti e non porta pace. Anelo la morte, ma anche questa consolazione mi è negata. Il tempo è una condanna per me. Tutto muta per restare uguale. Cambiano i tempi, le mode, i governi e le concezioni degli uomini, ma per me nulla cambia e nulla si evolve. Sono immobile come la pietra. Tutto si ripete, costantemente, giorno dopo giorno. Vivo nel dolore, e nella sperimentazione continua dell’essenza dell’Ouroburos. La noia è la mia compagna insieme al vuoto ed al dolore. Non aspetto più nulla, poiché ogni attesa è vana. Tutto è vano. Impera solo il dolore. Sono una creatura della notte, figlio delle tenebre, mi nutro di ombre ed ombra sono, poiché non ha corpo colui che non è libero di agire, come non ha valore colui che può fare ma non si muove. Io sono l’impalpabile tenebra che offusca le menti, l’urlo eterno di chi dispera e soffre senza tregua. La mia condanna è eterna, non c’è pace nell’eternità e non c’è vita dove non c’è morte.
Credo che le ultimissime parole del vampiro siano tra le più importanti per capire quanto possa essere folle la ricerca di una vita eterna. Il problema, direi, che il vampiro ha ben spiegato, è questo : vivere in eterno significa essere costretti a perdere tutto, significa essere condannati alla solitudine, ma una vita da eremiti è improponibile ad un animale sociale. Per quanto “orso” possa essere ogni uomo necessita di un gruppo, una famiglia, o almeno dei simili con cuoi condividere parte della propria vita. Una vita in solitudine non è vita, e quindi il sillogismo è compiuto: se non c’è morte c’è solitudine, se c’è solitudine non c’è vita, non c’è vita se non c’è morte. Qualcuno potrebbe obiettare che una soluzione potrebbe essere quelle di diventare tutti immortali… credo che ci sarebbero ben altri problemi in questo caso, ma direi che questa è materia per un’altra storia…
L’obiettivo dell’esplorazione è toccare il fondo e la cima, toccare… per vedere se la porta si apre.
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Classe ’80. Tipo eclettico e poliedrico, si interessa di cultura generale. Appassionato dal 2003 di fotografia e dal 2006 di urbex, partecipa attualmente a numerose mostre fotografiche individuali e di gruppo. Fra i primi autori di Ascosi Lasciti, da anni, sfrutta la fotografia per viaggiare attraverso l’Europa e la scrittura per viaggiare dentro di sé.