L’aria fredda di un gennaio soleggiato, l’immancabile alba ad accompagnare il rumore monotono dei pneumatici sull’asfalto e una grande meta da visitare.L’architettura dell’ ex ospedale psichiatrico Basaglia, come gran parte dei manicomi d’altronde, rispecchia la monotonia dei tempi alla quale i degenti erano sottoposti: tutti i corridoi sono uguali, speculari tra loro. Le finestre, con le inferriate e i cornici a volta dei lunghi camminamenti, creano ordinati quadrati di luce nelle stanze ampie, vuote, dai muri scrostati.
Questo è un manicomio abbandonato: una sinfonia di silenzi, passi distorti e smarrimenti continui, dove immaginazione e storia si fondono, dando vita alla memoria. Nella vastità delle sale sottoesposte all’obiettivo non si può non pensare ai volti dei reclusi dagli occhi anestetizzati da un perenne effetto neve, alle parole degli infermieri e dei dottori saccenti e alle ruote dei carrelli dei medicinali.
“Screeeew, tump, tump, tump… -‘Dove siete? …Siete…siete…siete…te…te…e…e’”
L’eco risponde da solo a me stessa: ‘te e’ e solo ‘te’. Per cullarmi in questa solitudine spaziale premo Rec in modo che un ronzio a me conosciuto mi accompagni in questo soliloquio esplorativo.
Il manicomio di Basaglia è uno dei complessi più vasti e ben conservati che abbia mai visitato: vuoto ma brulicante di pensieri e di sofferenze: gli antri più scuri parlano chiaro, le celle urlano a gran voce, i corridoi si piegano sul visitatore inerme quasi ad inglobarlo nei sui ricordi.
Ho avuto l’impressione di percepire un soffuso orgoglio e rivincita dei degenti che vi hanno dimorato: ‘eri la nostra prigione grazie a noi, il pasto della balena, e adesso che siamo riemersi, tu manicomio, tu istituzione totale, crolli come hai fatto crollare noi.’
Mi aggiro cautamente per il secondo piano e rimango abbagliata dal colore misto tra blu e grigio, buio e crepuscolo, che si fonde in connubio tra i miei occhi e la grande scalinata. Il colosso di pietra spacca in due parti le ali dell’ex ospedale riservandosi il privilegio di essere uno dei motivi per la quale moltissimi esploratori si addentrano in questo luogo. Comunque si fotografi la scala, la sua luce rimane perfetta, inalterata e fedelmente riprodotta sul rullino digitale che man mano si satura di immagini e immaginazione.
Nel 1895 il vecchio manicomio della città era ormai divenuto insufficiente così che fu realizzata questa nuova succursale per internare molte donne e altri pazienti ‘meno gravi’ tra gli anni 1885 e 1887. Inoltre, fino al 1904, l’ampia struttura, assorbì sempre più degenti provenienti da frenocomi vicini. Nel 1911, gran parte degli internati furono trasferiti nel manicomio in questione e la stessa operazione fu portata avanti anche nel 1944 e 1945, perché l’ospedale psichiatrico divenne un nuovo avamposto militare Italo-tedesco. Durante il fascismo il manicomio arrivò ad internare 1500 degenti (episodio comune a molte realtà psichiatriche italiane).
Negli anni seguenti la guerra gli internati furono trasferiti e, una volta che le truppe anglo americane ripresero il sopravvento nella zona, il manicomio di Basaglia riprese la sua secolare funzione sino al dicembre 1999 come ‘ricovero-sanatorio’. Quale destino per il manicomio di Basaglia?
Nel 2012 è stato presentato un programma di rivalutazione dell’area per trasformarla in una cittadella della salute, in un polo culturale e sociale ma intanto tutto rimane avvolto da un alone di tristezza e abbandono.

Elvira Macchiavelli fa parte del gruppo toscano. Studia scienze della formazione a Firenze, coltivando l’interesse per la scrittura. Molto attiva nel panorama urbex nazionale, ha un canale youtube “Where Elvi production urbex trip”, un blog “Urbex at Info!” e ricopre inoltre il ruolo di membro fondatore del sito “esplorazioniurbane.it”.