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ARCHEOLOGIA INDUSTRIALEVENETO urbex

La Meccanica dello scatto

Articolo di Febbraio 26, 2017Febbraio 25th, 2018Nessun commento

urbex-veneto-fabbriche-abbandonate - la meccanica dello scattoLe temperature di inizio 2107, in Veneto, forse non sono mai state così basse. Sono svariati giorni che i termometri non salgono al di sopra degli zero gradi.
Approfitto delle ultime ore di vacanza per dedicarmi ad un’altra avventura esplorativa. Contatto il mio solito team e decidiamo di recarci nella provincia a est di Verona. Abbiamo già trovato, qualche giorno prima, un bellissimo posto lasciato all’incuria e siamo piuttosto convinti che a pochi chilometri ve ne sia un altro. Dopo qualche ricerca veniamo a conoscenza di un’immensa area abbandonata facilmente raggiungibile in auto. Non abbiamo ben chiaro, a dire il vero, quello che ci attenderà…e questo è proprio il fattore che ci spinge a premere ancora più forte sull’acceleratore.

Parcheggiamo l’auto e attraversiamo la carreggiata sino a giungere di fronte ad un cancello arrugginito. Poco più sulla nostra destra, ci accorgiamo che la cancellata, che avrebbe dovuto delimitare quest’area, è completamente assente. Facendo un piccolo salto per oltrepassare una canaletta di scolo, siamo all’interno di quello che doveva essere, poco tempo prima, un parcheggio per dipendenti.

Notiamo come prima struttura una costruzione a due piani che, a ben vedere, è completamente svuotata all’interno. A dire il vero si vedono, una volta dentro, alcuni lavori di costruzione lasciati a metà. Ci stupisce, però, al secondo piano, una cassaforte abbandonata al centro di una stanza.
Discendiamo le scale senza ringhiera e ci troviamo all’interno dell’area in questione, lasciandoci quindi la strada principale alle spalle. La sorpresa qui è incredibile. Davanti ai nostri occhi un piazzale enorme delimitato da tre padiglioni disposti a ferro di cavallo. Alla nostra sinistra notiamo un altro piccolo edificio in mattoni rossi e decidiamo di cominciare da qui la nostra avventura. Ci rendiamo subito conto di essere entrati all’interno di quelli che dovevano essere gli uffici di questa azienda. Troviamo alcune scrivanie sul cui piano vi sono dei vecchi computer, alcuni schedari e addirittura dei tesserini con i nomi degli ex dipendenti.
Dai registri e dai vari adesivi sparsi qua e là finalmente risaliamo ad un nome: OMEP. Le pareti di alcuni uffici sgomberati sembrano essere sopravvissute ad incendi recenti.
Decidiamo di tornare nel piazzale facendoci strada tra CD-Rom e calcinacci sotto i nostri piedi e alcuni mobili ingombrati sulla nostro percorso.

Torniamo al centro dell’area.  Notiamo che il padiglione alla nostra sinistra è per metà impraticabile per via di una foltissima vegetazione che ne impedisce l’accesso. Riusciamo però a penetrare all’interno della parte integra e notiamo subito che il tetto del capannone è pericolante e che il pavimento cementato prevede delle grosse canalette lungo i lati ormai ricoperte di acqua.
Non vi è nulla all’interno di questo spazio se non qualche piccola scala che conduce ad un ipotetico piano inferiore dove si trovavano i servizi.
Il padiglione speculare rispetto a quello appena descritto è una sorta di clone. Al suo interno troviamo ancora meno oggetti, eccezion fatta per un ex gabbiotto di vetro ormai completamente in frantumi e qualche cartello appeso alle colonne per la sicurezza degli addetti ai lavori.

L’ultimo hangar è davvero interessante. Quasi del tutto vuoto anch’esso presenta, però, uno stanzone dipinto di grigio al cui centro è posizionata una vecchia sedia. Ciò che mi viene in mente, da appassionato di cinema, è immediatamente la celebre scena della tortura di Michael Madsen al poliziotto in “Le iene” di Quentin Tarantino.
La folta vegetazione ghiacciata che circonda questo ultimo capannone ci separa da una linea ferroviaria adibita ai treni merci.  Tentiamo comunque, dove possibile, di aggirare l’area per vedere se la sorte ci assiste, facendoci rivenire qualcosa di veramente interessante. Purtroppo, non è questo il giorno fortunato.

Questa officina meccanica è ormai lasciata a sé stessa ed ha di per sé ancora l’imponenza di quella che fu sicuramente una struttura importante e piena di vita!
Da qualche informazione presa dal web riusciamo a ricondurre a questa impresa la produzione di pezzi di motore per autobus e mezzi pesanti.  In particolar modo la ditta si impegnava a migliorare l’accelerazione di tali veicoli, lo scatto. Per tale motivo la fabbrica era conosciuta anche come “la meccanica dello scatto“.

Fà freddo. Di sicuro i resti dei ricambi per veicoli, sparsi per il pavimento e uniti al clima “gelido” dell’abbandono, rendono ancora più rigida l’atmosfera, tra queste mura ormai prive di voci. Decidiamo quindi di tornare in macchina nella speranza di trovare un locale aperto per consumare un thè caldo. Decido nel frattempo di alzare la radio e di ascoltare Little Green Bag…metto gli occhiali da sole e, con un ghigno degno di Tim Roth, accelero pensando a quanto Tarantino potrebbe amare questo posto, per uno dei suoi film.

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