Chi è della zona non può non riconoscerli. Esistono due marchi tipici e impressi bene nella mente del ligure di levante.
Entrambi, per non fare pubblicità, sono celati nel famoso detto “Pìa su e porta a Cà(sa)”.
Entrambi hanno sfamato generazioni di studenti e lavoratori.
Entrambi, da sempre, con le mani in pasta. In senso buono, ovviamente.
Tutta Farina del loro sacco. Solo pane, pizza, glutine e grani vari.
Insieme hanno rappresentato il giusto compromesso tra fast-food e qualità alimentare. Un take-away tutto spezzino.
Unica grande differenza tra le due aziende?
Quella che vedremo oggi disponeva solo di punti vendita, nella maggior parte dei casi, senza la possibilità di sfornare indipendentemente a tutte le ore ulteriori pezzi da esporre al pubblico.
Tutto partiva da un’unica grande fabbrica.
Ampi forni, affiancati da magazzini ancora più spaziosi, grosse bilance e pale. Una trentina di lavoratori. Due appartamenti dirigenziali al di sopra dello stabile. Il tutto amalgamato da una esile coltre di farina, visibile quasi sottoforma di nebbiolina che avvolgeva l’aria interna della modesta fabbrica.
Una magia che si è spenta. Circa dal 2007.
Oggi, i “punti Caldi”, sono riforniti da diversi forni. Non hanno più il padre che li nutre. Si rivolgono a rifornitori differenti, seppur dettando la loro unica ricetta, marchio inconfondibile della famigerata dote.
Arte Bianca la chiamano.
E si sa, le persone muoiono, le strutture si abbandonano, mentre l’arte vive. Di qualunque natura o colore essa sia. Un vero peccato che a farne le spese sia questo splendido edificio, che rappresentava una meta sicura dei nottambuli locali per una pizzetta o una focaccia prima di coricarsi. Era il punto finale delle loro serate di svago. Una buona sosta per le fredde notti invernali. O, per usare il gergo giusto, un bellissimo “punto caldo”.
Non me ne voglia nessuno se evito di divulgarne l’ubicazione.
Negli anni sono stati fatti svariati atti di sciacallaggio e vandalismo di questo pezzetto di storia locale.
Preferisco prevenire che qualcuno spolpi ancora lo scheletrone architettonico che giace lungo la strada principale.
Restano solo alcuni particolari, oggi. Pochi, quanto interessanti e suggestivi. A partire delle bilance che venivano sfruttate per pesare i carichi di farina, ai forni rotti.
Qualche calendario. Uno erotico. Scaldava sicuramente le fredde notti degli impiegati. Non degli addetti ai forni, certamente in maniche corte anche a Dicembre, ma dei dipendenti nelle stanze di contabilità.
E’ in questi vani che trovo gli oggetti più affascinanti : vecchi cataloghi, videocassette narrative e….miriadi di penne. Scatoloni interi di Bic riversate sul pavimento. Impossibile non fare rumore in queste stanze. Impossibile non sentirsi un intruso, seppure l’edificio resti aperto a tutti ora. Accessibile ad ogni curioso.
La fabbrica ora è aperta ad ogni ora, ma mai operativa.
Lo so che lo vorresti, ma non c’è pane per te.
Non ce n’è più per nessuno.
Foto di Irene Russi e Davide Calloni