La nave aveva cominciato a rollare nelle onde, il dondolio della poppa lento e imponente. Il vento sferzava il mare segnando un’ombra
verde scuro di increspature che si inseguivano sul pelo dell’acqua. Finalmente!
Quell’aria, quell’acqua, le delicate immersioni della nave, un universo di vento purissimo e gelido, le onde incappucciate di bianco e i loro bagliori verdi, blu nella luce primordiale dell’oceano proteiforme che proiettava le sue forze su, giù e in ogni direzione, un panorama favoloso
Le parole citate sono quelle di Jack Kerouac nel libro “Il mare è mio fratello“, un storia incompleta di Wesley, un soldato americano che vive il mare come rifugio ed unico compagno durante la sua missione. Sulla nave per Pyramiden, l’ultimo avamposto sovietico, oggi città abbandonata nelle isole Svalbard, ci si sente un po’ come Wesley.
La traversata nei fiordi è durata tre ore e mezzo: le montagne, prima a punta poi tronche dello Spitzbergen, sono intrise di un sapiente passato nordico, con le cime innevate e i fianchi solcati da lembi di neve e ghiaccio che arrivano sino al mare. Abbiamo visto un orso polare su una scogliera, le foche, i beluga, mentre i gabbiani cedono il passo ai puffin che volteggiano leggeri nell’aria gelida. Siamo arrivati fino al ghiacciaio perenne Nordenskjøldbree: l’enorme distesa di ghiaccio bianco e celeste si staglia imponente davanti alla barca.
Sono esaltata da tutto ciò che mi circonda ed impaziente di arrivare. Ogni montagna, cascata nebbiosa e ogni iceberg sono liberi da ogni volontà altrui: ogni cosa segue il suo flusso senza un secondo fine, semplicemente esistendo in quel momento.
A breve la nave avrebbe virato a destra e saremmo arrivati nella baia di Adolfbukta dove sorge la nostra meta: la città semi-abbandonata di Pyramiden. Attracchiamo al logoro molo di legno, le cui assi sono rinforzate da lastre di ferro arrugginito. Man mano che i turisti scendono dal traghetto, alcuni visitatori, incuriositi dai nostri grandi zaini, ci chiedono se dormiremo a Pyramiden:
“Yes…Cool.”
Le grandi strutture di ferro presso la costa cominciano già a raccontare il loro passato, e le scritte in cirillico (пирамида) avvertono che si è arrivati a Pyramiden, la città mineraria che dal 1931 ha accolto i più grandi esperti operai e tecnici del mondo sovietico.
Gli anni di edificazione del posto, infatti, sono quelli di Stalin il cui piano quinquennale mirava a far diventare la Russia una superpotenza economica e bellica al di sopra degli USA e dell’Europa. Per arrivare alla completa ascesa dell’URSS era necessario investire nelle risorse di carbone e nell’industria pesante e non è un caso che una città ideale come Pyramiden sorse proprio alle Svalbard.
Il territorio desolato era ricco di giacimenti carboniferi, sfruttati sino al 1998, e l’avamposto sovietico costituiva una reale minaccia per l’America, la quale temeva un attacco proprio dal Polo.
Pyramiden contava circa 1000 abitanti negli anni Sessanta, mentre oggi ne ha appena 12 e sono i lavoratori stagionali russi che gestiscono l’albergo Tulpan e le relative visite alla città fantasma.
Se si vogliono vivere veramente i bruschi silenzi e gli echi glaciali di Pyramiden, occorre munirsi di un fucile contro la minaccia dell’orso polare e dormirci almeno una notte… esattamente ciò che abbiamo fatto.
Le notti estive sul 78° parallelo sono fatte del sole di mezzanotte, la condizione ideale per un gruppo di esploratori urbani intenti ad addentrarsi in ogni pertugio della città.
Una volta usciti nella piazza mi sono sentita tremendamente vulnerabile ed intimorita, e l’unico modo che avevo per non pensare ad una possibile disgrazia era scattare fotografie ad ogni cosa vedessi. Non c’è un ospedale a Pyramiden né un aeroporto di linea, non c’è Wi-Fi, né televisione, né bancomat né telefono, né automobili: solo carbone, mattoni sovietici, renne, volpi artiche, gabbiani e orsi polari.
La zona più devastata dal tempo riguarda la parte est di Pyramiden, quella a ridosso della grande montagna che da il nome alla città. Vicino al campo da calcio intitolato a Yuri Gagarin si trova lo stabile dedicato ai bagni-saune, lavanderia per i minatori, l’ufficio amministrativo della miniera e l’ingresso alla galleria. Tutto è rimasto immobile per decenni ed abbiamo constatato che l’odore di abbandono e di marcio è uguale in tutte le parti del mondo. Abbiamo esplorato inoltre una parte delle gallerie delle miniere dove abbiamo trovato le fotografie dei responsabili di alcune mansioni come addetto alle riparazioni, alle trivellazioni, macchinista per l’estrazione. Questa è la Pyramiden che non ti mostrano durante le visite guidate: quella popolare, che sa di vita vissuta da persone che si sono sacrificate per un ideale e per le loro famiglie. La Pyramiden che non è solo un museo ed archetipo per nostalgici comunisti, ma la Pyramiden imperfetta, decadente e libera da ogni giudizio di Trip Advisor. Possiamo solo immaginare la pesantezza del vivere quotidiano quando si entra nelle vecchie officine meccaniche: l’odore pregnante di gasolio, la terra umida sotto i piedi, i macchinari intatti, come il grande tornio, avvolti da un buio primordiale.
In un attimo abbiamo fatto le due di notte, batteria dopo batteria, scheda dopo scheda, e lasciamo a malincuore la Pyramiden vietata per ristorarci nei nostri letti di legno: il giorno dopo ci avrebbe atteso una lunga giornata…
Il secondo giorno di questa grande esplorazione sarà disponibile presto su Ascosi Lasciti…continuate a seguirci.

Elvira Macchiavelli fa parte del gruppo toscano. Studia scienze della formazione a Firenze, coltivando l’interesse per la scrittura. Molto attiva nel panorama urbex nazionale, ha un canale youtube “Where Elvi production urbex trip”, un blog “Urbex at Info!” e ricopre inoltre il ruolo di membro fondatore del sito “esplorazioniurbane.it”.