Per un intero secolo l’economia Cadorina non ha faticato a crescere ed affermarsi.
Buona parte del mercato locale ha ruotato intorno ad un solido pivot: l’occhialeria di qualità. Da Sole, da vista, estetici: occhiali, di tutte le marche e misure!
La saturazione del mercato, i cambi di tendenza, il mutamento delle esigenze degli acquirenti, la delocalizzazione della produzione, sono tutti fenomeni con cui l’economia del posto si è dovuta tristemente interfacciare e che hanno lasciato segni evidenti nella vita delle persone e nel paesaggio. A livello infrastrutturale, infatti, tanti sono gli “scheletri architettonici” e gli edifici storici condannati all’abbandono. Ne è un chiaro esempio il comune di Calalzo di Cadore che conta svariati immobili fatiscenti.
Nella cittadina in questione, tutti i corsi d’acqua, in particolare il torrente Molinà, vennero sfruttati già dalla fine dell’ Ottocento per il settore manifatturiero. Nel 1878 nacque la prima grande fabbrica di occhiali che fece rapidamente crescere l’economia del luogo e da cui, in poco tempo, si espanse il “mercato delle lenti” in tutto il Cadore.
Una delle industrie più importanti di tutta la zona fu proprio quella della celebre società SAFILO, proprietà di uno dei fondatori della primissima fabbrica di Calalzo.
La società sembrerebbe non navigare attualmente in “ottime acque”, e l’abbandono della sua prima fabbrica può in qualche modo rappresentarne il possibile declino finanziario.
Ad oggi l’edificio resta chiuso e inaccessibile. Al suo interno, ancora immobili documenti e strumentazione. Il tutto, però, saggiamente sigillato per impedire agli sciacalli di “fare man bassa” degli oggetti di valore.
Non più fortunata è stata la sorte del preventorio infantile, situato poco sopra la fabbrica (tra Domegge e Calalzo, per la precisione).
Trattasi dell‘ex Istituto medico preventivo di Santa Maria della Carità, dell’opera pontificia veneziana.
L’immobile è stato definitivamente chiuso nel 2013. Il suo abbandono tuttavia era già scritto da almeno una decina di anni, quando l’ultimo progetto di recupero, che prevedeva l’accoglienza del centro di formazione professionale alberghiera, non vide favorevole la proprietà. Tra dispute e disapprovazioni, la burocrazia si arenò definitivamente.
Alla fine della contesa, ebbe la meglio il solito grande vincitore: l’abbandono.
L’edificio è raggiungibile da più punti aperti nella sua recinzione. Molte porte sono spalancate e conducono in un ambiente caotico, graffitato, frequentato quotidianamente da bande di ragazzini, street artists e sciacalli.
Per evitare la stessa ingloriosa fine, che avrebbe attirato potenziali malavitosi nel centro storico del paese, l’ex cinema in stile imperiale “Fiori”, altro edificio storico caduto in disgrazia, è stato completamente sigillato.
Obiettivo di questo estremo gesto, oltre a confinare il degrado, è stato quello di impedire ai curiosi del posto, più spesso ragazzini ignari dei pericoli, di effettuare le loro incoscienti incursioni in una struttura visibilmente instabile.
Il comune non si è limitato a questo. Sono state prese misure precauzionali per impedire ai locali di respirare aria potenzialmente nociva, date la forte presenza di amianto nelle componenti isolanti del tetto, attraverso accurati lavori di bonifica.
Unica grande pecca nell’operato burocratico è stata l’incapacità di rivendere l’immobile, o concederne quantomeno il terreno, al momento più propizio, per progetti di riqualificazione dell’area a prezzi realmente competitivi.
Oggi la struttura è irrecuperabile e necessiterebbe di una completa demolizione.
Passeggiando nella stessa zona del borgo, l’occhio mi cade su un’ultima struttura fatiscente: una casetta di legno, dalla forma inusuale e con tetto in metallo. Ascoltando i più giovani, le storie assumono forme di racconti fantastici, tutte a sfondo esoterico. Lo “Chalet delle streghe” la chiamano.
Parlando direttamente con i proprietari dell’immobile, scopro, con mia grande sorpresa, che altro non si trattava che di un Bar. In particolare, il palazzo di fronte alla casa in legno era la struttura alberghiera principale e lo chalet ne rappresentava il “punto di spaccio” per le colazioni e il ritrovo degli ospiti. Costruito nel 1898, a cinquant’anni anni di distanza dalle celebre vicenda della “cena degli ossi”, il locale era provvisto di piano bar e biliardino, ma non di una cosa ben più importante: il tetto. Questo elemento fu aggiunto solo a metà ‘900 ed è recentemente crollato a seguito di una fortissima nevicata invernale.
“Sistemeremo tutto e ne faremo un immobile di utile impiego quando vinceremo alla lotteria…” afferma scherzosamente il proprietario “…l’unico problema è che mi dimentico, ogni mattina, di giocare la schedina!”
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Uno dei luoghi nascosti sicuramente più interessanti della regione è questo.

Co-fondatore del progetto Ascosi Lasciti e dell’omonima associazione culturale. Laureato all’Università di Genova e specializzato a quella di Verona e Pisa. Appassionato di fotografia e innamorato della scrittura, in queste due vesti ha organizzato mostre, curato articoli di quotidiani e pubblicato libri a tema Urbex.