Siamo giunti, dopo molto tempo alla seconda parte di un’esplorazione memorabile…se vi foste persi la prima parte, ecco qui Pyramiden, ultimo avamposto sovietico.
La luce incessante penetrava attraverso la scomposta tenda di panno. La notte prima avevo provato a tirarla un po’ meglio e lo stridìo della guida sul fil di ferro aveva prodotto soltanto una soffice nuvola di polvere. Lentamente, emersi da sotto la leggera coperta a quadri, con la testa dolorante per via del durissimo cuscino sovietico su cui avevo posato la testa per tutta la notte. Posai i piedi sul pavimento di sughero, svegliai il compagno di avventure, che invece non aveva mai dormito meglio in tutta la sua vita, ed uscimmo dalla camerata.
Con gli altri amici constatammo la pesantezza della colazione (coppa di yogurt, polridge di burro e avena, due uova, bacon e olive), rivelatasi poi necessaria per affrontare la sensazionale giornata che di lì a poco avrebbe rischiarato i nostri animi.
Il giorno prima avevamo avuto la fortuna di conoscere due studentesse di architettura tedesche, che avrebbero volentieri partecipato con noi ad una visita guidata nella Pyramiden museale.
Museale perché ogni oggetto della mensa, della scuola, della piscina e della kulturhaus è esposto con rigore e attenzione. Questa precisione però, non toglie bellezza né interesse, anzi, ho trovato che rende maggiormente drammatica e nostalgica i desolati ambienti delle strutture.
Il primo stabile che abbiamo visitato è stato la mensa. Oltre le verdi colonne con gli orsi polari incisi, al di sopra della bella scalinata rossa, bianca e celeste, si trova il grande mosaico nordico. Ogni tassello luccicante e minuscolo riflette la bianca luce di luglio facendo brillare il rosso sole sul pack ghiacciato, dimora dell’orso polare, di un aski e di Odino forse?
Oltre due piccole porte buie ecco invece ripresentarsi la violenta Pyramiden che non ti aspetti: le cucine grandi e decadenti, fredde, con i cuoci-pasta rugginosi e i forni divelti. Al piano terra, oltre ad una sala ben tenuta, si snodano una serie di corridoi bui che portano alla macelleria e ad altri ambienti più luminosi ma sgretolati dal tempo. Qui i colori sono fissati con una staticità superba tant’è che sembra di abitare uno scenario estraneo a cui è difficile adattarsi anche solo per un attimo. La stanza gialla è talmente perfetta ai miei occhi che non riesco ad attraversarla, tanto mi sembra di violarne l’equilibrio, i colori, la forma. Scatto dalla soglia delle stanze con rispetto e malinconia: il coinvolgimento in quella nuova ma familiare realtà mi porta ad intraprendere un rapporto duale tra mente ed occhi.
Questa sensazione mi ha accompagnata anche nella scuola dove ogni cosa è stata collocata meticolosamente al suo posto. Per un’insegnante (appassionata del mio mestiere) trovare una gran ricchezza di materiale didattico appartenente ad un’altra epoca ed ad un’altra cultura, è un’emozione indescrivibile. Libri, eserciziari, giocattoli, fazzoletti ricamati e costruzioni, il piccolo teatro e la palestra, la bacheca con scritto -наши дети- i nostri bambini- intenti a svolgere attività motorie e giochi comunitari; le flash cards con Lenin e i soldati morenti ed il diorama rappresentante la produzione del carbone, per avviare i bambini della primaria, allo studio della materia per l’estrazione. Al di là di ogni gioco e balalaika in compensato, questo semplice particolare mostra l’importanza della scuola nell’essere un punto di partenza per la plasmazione di operai specializzati che per sempre dovranno servire Pyramiden. Quella città tra i ghiacci che nel 1945 fece saltare in aria, per paura di un’invasione statunitense, i propri impianti di estrazione, che nel 1996 fu vittima di una tragedia aerea in cui persero la vita 130 abitati della città. Comunque sia, Pyramiden è sempre andata avanti alimentata non solo dal carbone ma anche e soprattutto, dai suoi ideali. Ideali che sono ben visibili nei successivi stabili che abbiamo varcato e sul costone della montagna dove campeggia la scritta миру мир! –pace nel mondo- realizzata da alcuni minatori.
La grande piscina è datata 1987. E’ uno dei tanti elementi che mostrano quanto la città conferisse importanza al benessere psico-fisico dei propri abitanti fornendo loro due vasche alimentate da acqua marina riscaldata ed una palestra. La kulturhaus invece fa mostra dello squadrato perfezionismo sovietico: il grande teatro con le sedute in legno è abbellito da molti stemmi dedicati a varie rassegne musicali e dalle festività del Primo maggio. Al piano terra si trova un’altra grande palestra ricca di particolari, mentre al primo piano la grande stanza musicale accoglie un pianoforte, una batteria smontata e le tanto sognate balalaike.
Ho un’interminabile Kalinka nel cuore che purtroppo è costretta a cessare perché la guida ci ha concesso gli ultimi cinque minuti delle 4 ore accordate (non bastano!). Con la compagna di avventure ci troviamo in una stanza inusuale in cui capiamo bene che non sarebbe lecito entrare poichè la guida ci intimò quasi subito di uscire. Sono riuscita comunque a scattare qualche foto dello studio cinematografico.
Stupefatti e ancora per ciò ciò che abbiamo visto, concludiamo la mattinata con una foto ricordo sotto al busto di Lenin. Abbiamo ancora qualche ora da spendere in città e decidiamo di avviarci verso il porto. Tanta è l’agitazione nel giungere in prossimità della baia perché di nuovo accolti dalle desolanti lamiere di un paesaggio silenzioso ed ispido in cui ti aspetti di trovare un orso polare oltre a qualsiasi ammasso di terra. Giungiamo così sotto al grande obelisco di Pyramiden. La scritta sul carrello di carbone testimonia l’ultimo giorno di vita della città: 31 marzo 1998, questa è l’ultima tonnellata di carbone della miniera di Pyramiden. Arriviamo sino alla centrale idroelettrica di cui sogniamo di raggiungerne le turbine dormienti.
Sapete come va a finire vero? Ci perderemo di nuovo in centinaia di scatti, perderemo la nave, l’aereo… e dunque, a causa di questi impedimenti civili ci ricordiamo di quanto sia insensato il nostro vivere frenetico in una società affollata e dogmatica.
Spero di non accendere quel telefono mai più, di continuare a non avere linea per il resto dei miei giorni, sognando di fermarmi in quei fiordi silenziosi in cui la lotta per la vita si può dire davvero tale perché è sopravvivenza. Non ci sono cose futili quando ci si trova al Polo: conti solo tu e nient’altro. Non ci sono impegni civili né burocrazia, trabocchetti economici, violazioni di privacy né conti correnti. E’ un luogo nichilista nel senso che non ha niente se non se stesso nella sua forma più pura e pericolosamente bella. Questo, Umberto Nobile, lo aveva ben intuito quando si trovò ad essere ingiustamente accusato di viltà per aver lasciato per primo il pack su cui per un mese era naufragato con i suoi cinque compagni, in seguito ad un’avaria del dirigibile Italia il 25 maggio 1928. Nobile rientrò nel mondo civile tra il 12 e il 13 luglio del 1928, esattamente come noi.
Ed è proprio con una frase dello scienziato svedese che prese parte alla spedizione, Finn Malmgrem, che vorrei concludere quest’ultimo racconto sul reportage di Pyramiden: Thank you for the trip.
Grazie per il viaggio.

Elvira Macchiavelli fa parte del gruppo toscano. Studia scienze della formazione a Firenze, coltivando l’interesse per la scrittura. Molto attiva nel panorama urbex nazionale, ha un canale youtube “Where Elvi production urbex trip”, un blog “Urbex at Info!” e ricopre inoltre il ruolo di membro fondatore del sito “esplorazioniurbane.it”.