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Villa Pentagono, villa Bellemort, villa Caracciolo.
Vari sono i nomi con cui è conosciuta questa prestigiosa struttura che svetta, fra tutte, sopra il colle più alto della città.

Più destinazioni. Oltre a normale abitazione per famiglie ricche, la villa fu occupata per un breve periodo dalle truppe tedesche, divenendo ospitale di guerra. In seguito, il suo impiego venne mutato ad istituto per persone disabili.
Per ultimo, fu proprietà di uno ricco ereditiere che mal riuscì a gestire i risparmi. Le scommesse perse portarono alla bancarotta ed a contenziosi con la banca.
Da allora le mancate manutenzioni condussero al lento declino dell’infrastruttura e agli attuali crolli interni.

Quando visitai l’edificio, l’accesso fu molto semplice. Il portone laterale era spalancato (probabilmente dai vandali che per primi passarono di qui).
Di recente, a causa delle continue visite (innocue e non), è stato richiuso l’edificio e sono stati inseriti impianti di videosorveglianza, a riprova del fatto che qualcuno ancora si interessa ad impedire che questa ” allettante carcassa” possa essere definitivamente “spolpata” dagli sciacalli.
L’arredo infatti è ancora, a dir poco, prezioso e gli affreschi rappresentanti putti e pavoni, scene grottesche e mitologiche, sono presenti su numerosi soffitti. All’ultimo piano si potevano visitare gli alloggi dei nonni come li chiamavamo. Scatole di latta, fascicoli, stoviglie…abiti, fotografie. Gli alloggi fatiscenti dei suoi ultimi proprietari forse.
Per dirla tutta, sono presenti persino un pianoforte e una barca da navigazione, nello scantinato.

Recentemente sono stati appiccati alcuni incendi nel cortile della magione.
Pare dunque che non bastino gli occhi vigili delle telecamere ad impedire che il tempo decomponga definitivamente la villa abbandonata.
D’altronde se non son le mosche, saranno i vermi, i batteri, i parassiti e la pioggia a deteriorare l’allettante carcassa.
L’unica soluzione per evitare il declino sarebbe donare seconda vita alla storica dimora, ma lo sappiamo…sappiamo che non basta sperare.

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