Si parta da un assunto: l’urbex in estate è puro masochismo. Si aggiunga una disgraziata ricorrenza: le ville nobiliari impongono sempre cammini impervi e faticosi. Si concluda con una nota personale: la pigrizia e l’esplorazione non vanno d’accordo. E il piatto è servito. Con questi ingredienti, di ritorno dalle Marche verso la mia Campania, mi concedo una deviazione per qualche ora di esplorazione ‘fuori tratta di competenza’. La meta, una villa nobiliare umbra, scoperta su indicazione dei compagni del team Ascosi Lasciti.
Il cielo minaccia pioggia, ma la temperatura resta stabilmente sopra i 30°. Che gioia. Sceso dall’auto, mi infilo nel primo pertugio tra i cespugli e mi avvio lungo una radura zampettando nell’erba alta, popolata d’insetti d’ogni specie. Poi, appena raggiunta la villa, ovviamente la vegetazione si infittisce come per dispetto, guarnendosi di piante spinate, rami rognosi, e quella sorta di spighe che lasciano aghi infilzati ovunque. Degli antichi giardini non c’è più traccia.
Confuso dal caldo, cerco un varco e, va da sé, sbaglio direzione. Rovi e spine, rovi e spine, e infine, ormai pieno di graffi e irritazioni cutanee, trovo il portone d’ingresso del palazzo padronale.
Adiacente al palazzo è la cappella, ben serrata da ogni lato, per cui posso solo scattare un paio di foto attraverso una finestra aperta: l’interno è di un blu stellato; l’altare è violato da un’orrenda svastica.
Di fronte alla facciata anteriore della villa, resiste una doppia fila di vecchissimi cipressi, che fu un tempo il viale d’accesso alla residenza, e che due ore più tardi prolungherà ulteriormente il mio percorso di ritorno, trattandosi di un vicolo cieco.
Stanco e ferito (e sì, quanto pathos!), entro finalmente in casa.
L’elemento dominante, all’interno così come all’esterno, è la fitta boscaglia di impalcature, che in più di un’occasione mi ha poi impedito di scattare foto ben centrate (per mettere ben bene le mani avanti: anche la luce era molto scarsa). Un pannello di comando luci suggerisce quale fosse la divisione originaria degli spazi: piano nobile, pian terreno, piani superiori, servizi, giardino, viale del parco… e viale del tennis!
La prima stanza finemente decorata mi appare poco dopo: su base color senape, i soffitti a volte presentano figure di donne alate e altre creature mostruose o mitologiche. Ma al piano di sopra – il “piano nobile” – gli affreschi aumentano di pregio, quantità e diversificazione, tanto che le pareti sembrano una galleria d’arte.
I parati colorati distinguono le varie stanze, che si alternano tra giallo, rosso e sfumature di verde. I pavimenti del secondo piano (o i soffitti del primo) sono per lo più crollati, pertanto la visuale offre scorci contrastanti: dall’alto affiorano altri affreschi, e dalle stanze della servitù sbucano fuori persino i fornelli di una cucina. La visione più romantica è, probabilmente, la carcassa impolverata di un pianoforte.
Questa residenza nobiliare di campagna risale al Cinquecento e nel corso dei secoli è passata tra diverse proprietà, tra cui persino un Bonaparte, prima di cadere nel misero stato di abbandono in cui attualmente versa, nonostante le opere architettoniche, decorative e pittoriche che contiene.
Una visita che di certo è valsa la fatica. E non posso lamentarmi troppo: più tardi, un ragazzo del posto incontrato all’ingresso di un convento mi ha raccontato che da piccolo andava con gli amici ad esplorare la villa, sfidando un contadino che sparava a vista con un fucile caricato a sale!

Derive Suburbane è un progetto di esplorazione degli spazi (extra)urbani dismessi e dell’architettura fantasma, interamente dedicato alla Campania: paesi abbandonati, edifici civili e sacri, archeologia monumentale e industriale, infrastrutture e complessi edilizi.