C’è un unica strada per arrivare qui: da qualsiasi parte ci si affacci nei dintorni, non si riesce mai a scorgere il complesso religioso, come se volesse nascondere la sua bellezza proteggendola dal passare dei secoli.
Lasciando la strada principale, proseguendo a piedi in direzione del bosco, si intravedono delle mura; a colpo d’occhio da lontano potrebbe sembrare un complesso colonico abbandonato, ma una volta avvicinati, anche se nascosto bene dalle piante che lo ricoprono, ci si accorge che si tratta di ben altro.
Un portone socchiuso sovrastato da lunetta e’ cio’ che ci separa da mille anni di storia.
Il complesso risale al X secolo essendo già sede di un’importante “Schola ecclesiastica”.
La struttura dell’edificio è costituita da vari spazi funzionali per i chierici che tanta importanza davano alla vita sociale: la chiesa, altri vani per la preghiera, l’ospitalità, il lavoro, il refettorio e lo scriptorium… insomma, una sorta di “piccolo monastero“.
Da un’attenta osservazione si possono ancora notare i resti della cinta muraria che ne delimitava la vita all’interno.
Con il mutare delle abitudini di vita, guerre e le tante vicissitudini storico-sociali, all’inizio del 1500 il complesso risultava in pieno decadimento; ebbe comunque una seconda vita per la volontà di una ricca famiglia di zona che, intenzionata a sfruttare la posizione strategica, rimarcò così la sua presenza sul territorio.
Questo evento segno’ la particolarita’ dell’edificio: nonostante si fosse ormai diffuso ormai lo stile architettonico dei grandi artisti del Rinascimento, fu deciso di ricostruire la chiesa a tre navate in pieno stile gotico-medievale.
Da allora fino ad oggi il complesso ha subito vari restauri ma senza mai perdere il “look” assunto nel 1500; l’ultimo “ritocco” risale all’inizio del 1900.
Ormai da alcuni decenni il complesso si trova in grave stato di decadimento nonostante vari progetti e ipotesi di recupero.
Esplorando questo edificio ed approfondendo la sua storia, potremmo definire il suo aspetto come tipico di un “medioevo immaginato”.
Immaginato, non immaginario. Quest’ultimo aggettivo pare più giusto accostarlo ad una potenziale riqualificazione dell’immobile, da sempre sbandierata ma mai attuata.

Nato a Prato nel 1971, appassionato di luoghi abbandonati fin dalla metà degli anni ’80, ha deciso di ridare loro vita attraverso la fotografia.
Tra i più attivi esploratori toscani, condivide questa passione con l’amico Vincenzo Bellini.