Eccomi qui, a scriverti queste ultime righe.
Ora che tu cammini tra le stelle sento il bisogno di regalarti un ultimo discorso: quello che non ho avuto la forza di pronunciare in pubblico.
Non ci riesco mai. Lo so, mi rimprovereresti.
Ore che ci separa un abisso vorrei parlarti ancora. Chi non lo desidererebbe? Noi uomini siamo stupidi purtroppo, iniziamo ad apprezzare le cose esattamente un millesimo di secondo dopo esserci accorti di non poterne più godere.
Sono passati molti anni dall’ultima volta che ti ho vista; la vita, con le sue vicissitudini, ci ha allontanati, ma ricordo ancora il tuo viso, il tuo modo singolare di muoverti. Avevi un sorriso unico.
A volte mi sembravi un pochino goffa, ma forse era la mia vista a non essere buona.
Ho dimenticato il suono della tua voce, e di questo mi rammarico tremendamente, ora che so non poterla ascoltare più mi manca, e vorrei aver sentito più volte la tua risata.
Sono state tante le cose che abbiamo fatto insieme, quante sere passate con gli amici all’ombra della chiesa del paese, quante bevute, e poi quel viaggio mitico in Irlanda. Erano gli anni in cui si credeva che l’amicizia fosse eterna, erano i giorni in cui si doveva fare per forza tutto insieme e, ridendo, scherzando anche scornandosi un poco, siamo riusciti a mettere insieme tutta la compagnia.
Tutti insieme siamo partiti all’avventura.
Che dire di quel viaggio?E’ stato bello, non serve aggiungere altro.
Non siamo stati molto legati io e te, eravamo amici certo, me sempre separati da un certa distanza, gusti e modi di fare differenti, eppure siamo riusciti a convivere benissimo attraverso le compagnie, anzi nelle compagnie. Avrei dovuto conoscerti meglio, avremmo dovuto parlare di più e fare più cose insieme, ma il passato ormai non si cambia.
Come stai? Com’è il mondo visto da lassù, o osservato da un’altra dimensione? Qui da noi è sempre la solita vita, andiamo avanti con le nostre miserie e sprazzi di gioia. Si cresce, purtroppo si invecchia anche.
Mi chiedo se il tempo da te scorra come qui da noi. Salutami il padrone di casa, sai che io e lui non siamo mai stati in buoni rapporti, ma tu salutamelo lo stesso e ricordagli di curarsi un po’ anche di noi, perché qui a volte è dura. Non ci lamentiamo certo, ma un aiutino ogni tanto… Mi auguro che il tuo ospite ti abbia riservato un banchetto d’onore, se ha voluto portarti via da noi per stare con lui almeno che ti tratti con le dovute maniere.
E’ stato duro darti l’ultimo saluto.
Ho rivisto amici che non vedevo da anni, ma non è stato piacevole leggere dolore nei loro occhi, non è stato piacevole rivederli in un’occasione tanto dolorosa. Volti tirati ed espressioni costernate, non c’erano parole davanti a quel momento. L’amicizia è una delle cose più belle che ci siano, gli amici dovrebbero essere sempre felici e sorridenti. Ma la realtà comanda diversamente. Ho rivisto persone che quasi avevo dimenticato e mi domando se quel fugace incontro, se questa tua perdita, magari riuscirà a riavvicinarci almeno un minimo. Certo i tempi sono cambiati e le esigenze di tutti oggi sono differenti. All’epoca della compagnia aravamo ragazzi, ora siamo uomini, molti di noi hanno messo su famiglia, hanno fatto figli, lavorano, qualcuno ha perfino fatto carriera.
Il tempo ci ha tolto molte cose, la vicinanza prima fra tutte.
Mi domando se dopo quello che è successo inizieremo a capire, me per primo, che per non invecchiare bisogna rimanere ragazzini nell’animo, mi domando se in futuro ci sarà qualche birra insieme, perché ritrovarsi è sempre magico.
Sono sempre stato un sognatore, o come mi chiamavi tu “un utopista”, ma veramente mi piacerebbe passare qualche altra sera all’ombra della chiesa. Tu saresti con noi, di questo ne ho certezza, perché per quanto vasto possa essere il mare che si distacca dall’orizzonte, c’è sempre la terra. Sarà solo illusione, ma io lo so che ci sarai.
Ho voluto scriverti per colmare il vuoto delle parole non dette. Tappare i buchi delle cose non fatte e dei momenti non vissuti. Misera consolazione, ma meglio di nulla, non credi?
Ti mando anche qualche fotografia delle mie, avrei voluto essere un fotografo migliore, ti meriti di più di quello che ho fatto, ma io sono solo un piccolo uomo, ed i miei limiti sono muri alti, molto alti.
Ti mando queste foto perché sono un ottimo paragone per questo momento: il dolore dell’abbandono che viene mitigato da una bellezza intrinseca che permane, questa è il ricordo del passato, del piccolo tratto di strada che abbiamo fatto insieme, di quello che eri e di quello che era la nostra compagnia. Adesso che sei lontana resta il ricordo e nulla più e lo so che il tempo si porterà via pure quello, ma questa è la vita, e comunque perfino il tempo non osa cancellare alcune cose.
Mi dispiace. Come dicevi tu, le mie foto sono sempre tetre. Ma come forse saprai, la vita mi ha portato lontano dalla luce ed io fotografo l’ombra, inseguendo quello che il mio animo riflette.
Non ti spaventare però, queste immagini non sono poi così buie, credo che, come sempre, un raggio di luce tu lo saprai vedere. E poi, in anni di vagabondaggi per le valli oscure, ho scoperto che anche lontano dalla luce ci può essere del bello. Anzi, forse l’eccellenza, il sublime.
Occorre avere il giusto sguardo per poterla vedere.
Non uno qualsiasi.
Il tuo.
Le foto che accompagnano la lettera sono state scattate all’interno di questo edificio abbandonato.

Classe ’80. Tipo eclettico e poliedrico, si interessa di cultura generale. Appassionato dal 2003 di fotografia e dal 2006 di urbex, partecipa attualmente a numerose mostre fotografiche individuali e di gruppo. Fra i primi autori di Ascosi Lasciti, da anni, sfrutta la fotografia per viaggiare attraverso l’Europa e la scrittura per viaggiare dentro di sé.