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ARCHEOLOGIA INDUSTRIALESARDEGNA urbex

La Chimera

Articolo di Novembre 28, 2019Aprile 23rd, 2020Nessun commento

È un caldo venerdì di Agosto in Sardegna.  Le mie ferie sono quasi finite e la mia testa è già proiettata al rientro a Roma.
Ho praticamente finito di salutare amici e parenti, e stranamente ho il pomeriggio libero.
Un grande dilemma mi affligge: passare questo ultimo giorno al mare in una bella caletta isolata da tutti e da tutto, o andare a fare visita a una nostra vecchia conoscenza, una fabbrica in Sardegna, totalmente abbandonata.
Decido di chiamare Tano, amico di infanzia e di centinaia di esplorazioni urbane, per provare ad aiutarmi in questa difficile decisione.
Naturalmente, se siete qua a leggere, sapete già come è andata a finire.

La chimera. Un nome di fantasia per questo vecchio cementificio abbandonato da quasi quarant’ anni. Esso copre un’ area totale di circa 80.000 mq, impossibile da non notare quando si percorre una delle strade più importanti dell’isola.
Fu costruito nel 1956, per far fronte alla forte domanda di leganti idraulici nelle opere pubbliche che avevano caratterizzato il nord della Sardegna di quegli anni.
Numerose furono le assunzioni, circa mille operai tra gli anni ’60 e ’70, con tanto di abitazioni dedicate, adiacenti alla fabbrica.
Un vero “tocca-sana” per il problema della disoccupazione che imperversava in quel periodo. Un po’ meno per la sicurezza sul lavoro, ancora troppo carente.
Negli anni successivi intorno al 1980 iniziano le prime crisi nel settore industriale provocando il permanente stop dell’impianto.

Vecchi tempi. Passiamo il tempo che ci separa all’arrivo ricordando l’ultima volta che provammo invano ad entrare nell’edificio. Nessun accesso, poi venimmo presi dalla paura di essere scoperti e scambiati per malintenzionati.
Siamo così decisi a non fallire, questa volta, che scartiamo subito la via più lunga e nascosta, catapultandoci davanti all’ingresso principale non curanti delle macchine che passano e del treno che fischiando ci avverte del suo passaggio.

Guardo Tano e gli chiedo “lo facciamo?”
In un attimo siamo dentro al recinto, che in più punti palesa alcuni piccoli varchi superabili senza doverci arrampicare. Con un po’ di contorsionismo, entriamo e  cerchiamo una via d’accesso anche per l’interno della fabbrica, ma tutto sembra chiuso. La possibilità che arrivi una delle guardie di sorveglianza e ci desista dal nostro tentativo di documentare questo pezzo di storia, fa aumentare l’adrenalina. La maggior parte delle volte cooperiamo con gli addetti alla sicurezza, ma in questo caso proviamo a bypassare questo passaggio per andare più veloci all’obiettivo, talmente poco è il tempo che abbiamo a disposizione (non imitate questo comportamento). Entriamo nella splendida fabbrica abbandonata in Sardegna.

Ci arrampichiamo al buio sugli enormi macchinari. I residui di calce, la polvere e gli escrementi di piccione inspirati durante le fatiche della salita, ci fanno quasi perdere i sensi. E’ un piccolo prezzo da pagare per arrivati al cospetto della testa della chimera.
Perché parlo di testa? Ci troviamo davanti a tre enormi forni rotatori, un vero spettacolo per gli amanti dell’archeologia industriale.
Ci vorrebbe un intero giorno per fotografarne i dettagli. Il tempo a nostra disposizione purtroppo è poco, così prendiamo una delle tante scale arrugginite che portano ai piani superiori per finire in una delle aree più grandi del cementificio.
Un enorme zona di lavoro grande come un campo da calcio che si estende sotto di noi. L’altezza è da vertigini, grosse cisterne e cumuli di sabbia fanno sembrare quest’area un deserto con tanto di ruderi. L’ abbandono nell’abbandono!

L’adrenalina dell’uscita. Tale è la sua forza da farci dileguare ancora più rapidi che all’ingresso.
Diretti alla macchina ci scambiano uno sguardo pieno di soddisfazione.
Nella mia testa,ora, il mare è solo un pensiero lontano.

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Se vuoi vedere altri luoghi nascosti della Sardegna, guarda qui 

Se invece sei interessato a tutte le fabbriche abbandonate in Italia, fai click qui.

Foto: Marco e Tano.

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