“Questa è una cosa grossa. Andiamo?”
“Sono dei vostri!”.
È iniziato tutto così. Con una risposta da parte mia che potrei aver dato ad una qualsiasi partita di basket con gli amici o ad una qualsiasi uscita serale. Stavolta, invece, mi scrive Valerio (il quale si è appena messo d’accordo con Marco) e sono sicuro che la proposta sarà allettante come non mai.
Detto fatto: per le mani c’è qualcosa di unico ed il gruppo Urbex Roma è pronto a rimettersi in moto.
Quando le persone ed i conoscenti mi chiedono cosa faccio esattamente quando vado ad “esplorare” mi trovo sempre di fronte ad una grande difficoltà. Come faccio a spiegare le sensazioni e l’essenza di ciò che vuol dire Urbex?
“Cioè, fammi capire, quindi vai a fare foto dentro posti marci e pericolanti?”
Beh, si, diammine!
E stavolta avrei potuto aggiungere anche “sotto terra”, “al buio”, “con un’escursione termica mortale, nel nulla assoluto , con rischio amianto e…non solo”. Insomma, trattasi di basi militari segrete e altamente inquinate.
Ma andiamo con ordine.
Nell’ambiente degli esploratori si vociferava da anni dell’esistenza di basi miliari segrete e sotterranee, oggi abbandonate e ormai inaccessibile, nonché di “fantasmi ed oscure presenze”. Pane per i nostri denti!
Le ricerche si intensificano sino a quando otteniamo la conferma che i bunker in questione esistono e qualche temerario vi ha già messo piede.
Sugli spettri nessuna menzione al momento, ma tanto non ci spaventano.
Ci mettiamo in contatto per l’occasione con Alessandro, un prezioso collaboratore esperto (fra le altre cose) di speleologia. Grazie ai suoi consigli ci muniamo di tute apposite e di maschere antigas con i relativi filtri “anti-tutto”.
<<Non siamo sicuri di quello che troveremo all’interno delle tunnel inquinati . Utilizzeremo, quindi, anche dei rilevatori per l’aria una volta che ci avremo messo piede>>. Testuali parole.
Ed eccoci in piena estate, con un caldo che avvolge qualsiasi cosa, pronti a partire. La sveglia è quasi all’alba. Valerio non è molto contento di questo piccolo particolare (ma c’è da dire che ha lavorato sino a tarda notte). Il nostro ritrovo, come consuetudine, prevede un caffè al bar ed un ulteriore briefing per ricapitolare il programma della giornata. A questo caffè ne seguirà un altro ore dopo, offertoci gentilmente dal nostro Alessandro nel momento in cui ci congiungiamo tutti quanti ai piedi di un campanile decrepito in un paesino che sembra essersi fermato agli anni ’50.
La strada è ancora lunga e, da un certo punto in poi, anche tortuosa, come si suol dire. Ci inerpichiamo piano piano per una lunga salita la cui strada non solo si restringe a vista d’occhio, ma è anche ricoperta di radici e di vegetazione selvaggia fastidiosamente invadente. Dovesse scendere un’altra macchina saremmo nel panico più assoluto. Ma tanto un’altra macchina non scenderà. Siamo in un luogo troppo dimenticato perché questo accada.
La speranza, andando verso l’alto, è quella di trovare un clima più mite quando arriveremo a destinazione. Ovviamente non è così. Lasciamo le macchine in un vecchio piazzale di cemento a ridosso di quelle che dovrebbe essere l’entrata alla base. La temperatura sotto il sole è micidiale e come se non bastasse iniziamo a vestirci pesantemente perché una volta entrati sì, farà freddo. A scarponi, tute, maschere con filtri inseriti e caschetto da speleologia si aggiunge l’attrezzatura fotografica comprensiva di led e torce. Non ve l’avevo detto? Ebbene, la base si estende per chilometri dentro e sotto una montagna ed è totalmente avvolta dall’oscurità. Nessuna presa d’aria, nessuna finestra, nessuna fonte di luce o di calore. In poche parole: claustrofobia.
Per motivi di riservatezza e di sicurezza ometterò in questo articolo il momento dell’entrata alla base. Stiamo pur sempre parlando di basi militari segrete e potenzialmente radioattive.
Immaginate, però, un processo alquanto complicato. Una volta dentro, dopo aver strisciato nella torba per decine di metri, ci troviamo all’interno di un tunnel del quale non vediamo la fine. È alto e largo quanto basta per farci passare almeno un camion o un vagone ferroviario e fungeva sicuramente in passato come accesso principale alla base, scavata dentro la roccia. Camminiamo. Camminiamo. Camminiamo ancora. I chilometri ad occhio e croce sono all’incirca due. Le torce si muovono frenetiche ma l’ambienta attorno a noi non cambia mai. Qualche detrito a terra, qualche sedia ed il buio più totale. L’aria sembra respirabile ma teniamo le maschere che, però, appesantiscono il passo. L’umidità è altissima e la temperatura si abbassa vertiginosamente.
Finalmente sulla nostra sinistra appare una porta blindata di circa tre metri per tre. È aperta e totalmente arrugginita. L’esplorazione dei bunker ha inizio. Da una mappa quasi ormai illeggibile capiamo che la struttura è divisa in blocchi: A, B, C, D ed E. La geometria della base pare abbastanza semplice, almeno sulla carta. La realtà dei fatti è che troviamo di fronte a noi cunicoli marci pieni di macchinari arrugginiti con l’oscurità che nasconde possibili vie d’accesso. Armati di pazienza, comunichiamo a gesti ed iniziamo ad esplorare la base. Siamo sempre più o meno in gruppo: i cellulari ovviamente non prendono e trovarsi isolati senza una luce potrebbe essere molto rischioso.
I primi blocchi non riservano grandi sorprese. I piani più bassi spesso sono il deposito di mobili ormai ammuffitti. I bagni sono in condizioni pessime e i piani superiori sono divelti e ormai sgomberi. Forse davvero l’incontro di qualche fantasma o spirito maligno potrebbe risollevarci un po’ il morale. Nulla cambia da blocco a blocco. Nessun documento segreto, nessuna magica scoperta. Solo tanto buio. Ad un certo punto però ci troviamo al bar. Ci scappa un sorriso sotto la maschera: affissi alle pareti marce di legno c’è il listino prezzi “Algida”. Un ricoperto 1.300 lire. Che nostalgia. “Ma saranno stati buoni anche sotto terra?” penso.
Scatto qualche foto e mi dirigo poco dopo il bancone del bar. Trovo qualche sedia rossa allineata ed una parete ex-bianca di fronte ad essere. Sicuramente un punto di ritrovo per vedere qualche film. Questa saletta ha tutto l’aspetto di essere stata un piccolo cinema. Ecco il perché dei gelati nelle vicinanze. Tutto torna. Provo ad immaginare la scena: militari in divisa che gustano il loro cornetto mentre guardano un film sottoterra. “Ma avranno visto i film di guerra?” penso. Niente, sto pensando troppo. Mi ricongiungo al gruppo e procediamo nella nostra avventura tra le basi militari segrete.
Quando tutto sembra ormai perduto ecco il colpo di scena, il Jolly che vale tutta la partita: la sala comandi. Ora il film è diventato nostro. Siamo degli 007 all’interno di basi militari segrete. Di fronte a noi, dietro delle plastiche protettive una parete enorme alla quale sono affisse una cartina geografica del Mediterraneo ed una tabella che riporta le altre basi militari in Italia, Grecia e Turchia. Ogni città di questi paesi che contiene una struttura simile a questa ha un codice identificativo.
Una scala malandata conduce proprio all’altezza della grande mappa, sicuramente per muovere o spostare gli eventuali “segnaposti”. Lo stanzone con mappa è gigante ed illuminato dai soli nostri led assume sembianze post-apocalittiche. Le ombre che creiamo rendono questo luogo fatiscente ancora più inquietante. La sensazione è nucleare, bellica, segreta. “Con questi pulsanti che abbiamo sotto gli occhi avremmo potuto davvero lanciare qualche missile? Intercettare segreti di Stato? Condurre in guerra una nazione?” penso.
Sono passate quasi cinque ore. Non poco per essere dentro a bunker potenzialmente radioattivi. Potenzialmente,certo. Di sicuro molto inquinati.
Il fisico comincia ad accusare. Documentiamo il resto e ci scattiamo una foto ricordo che sicuramente verrà usata contro di noi in tribunale. Il cammino verso il punto di accesso è ancora più faticoso, sembra durare il doppio. Una volta usciti all’aria aperta la sensazione è quella dello svenimento. Torniamo sotto il sole a temperature altissime con gli occhi che fanno fatica a riabituarsi alla luce intensa. Ci spogliamo quasi del tutto e ci fermiamo a respirare a pieni polmoni l’aria esterna.
Le basi militari segreti sono abbandonate dal 1995 e sono stata preda (soprattutto a ridosso della chiusura) di sciacallaggio da parte di ladri di rame e di apparecchiature per il mercato nero. Il rifugio è antiatomico e sarebbe servito come riparo per i militari in caso di scoppio della guerra Fredda. Uno dei compiti più importanti di questa base era quello di intercettare i messaggi che passavano per tutta Europa. Non a caso era popolata costantemente da almeno trecento persone che arrivavano ad essere mille in alcuni casi. La corrente e l’aria condizionata funzionavano grazie alla sala motori che produceva un quantitativo inimmaginabile di energia per sostenere la struttura. Al momento l’ingresso è stato murato e sigillato. Le basi militari segrete sono ora inviolabili.
Le istituzioni si rimbalzano le colpe e l’unica certezza è che questi bunker abbandonati risultano essere uno dei problemi ecologici più gravi dell’Italia intera. Non si sa ancora che tipo di sostanze vi siano all’interno, soprattutto nelle aree non accessibili a causa del crollo di alcuni ascensori.
Al di là degli scherzi, i fantasmi e le oscure presenze forse ci sono davvero…ma sotto forma di rifiuti.
Beviamo molto prima di rimetterci alla guida per tornare a casa. Siamo abbastanza provati da questa esplorazione. La sensazione di marcio e di umidità se ne andrà dopo parecchio tempo.
Personalmente ripenso spesso a questa giornata. Quando mi chiedono quale sia stata la mia esplorazione più difficile, ho la risposta pronta subito, senza ombra di dubbio.
Ho provato per un attimo, staccandomi dal gruppo, a rimanere immobile in uno di quei corridoi e a spegnere il mio led. Silenzio e buio. In una parola: claustrofobia.
Il pensiero di essere parecchi metri sottoterra in una landa sconosciuta e sigillata mi fa venire un po’ i brividi.
Sono sensazioni che se non provate, non si possono descrivere. Ho pensato poi a come doveva essere la vita lì sotto parecchi anni fa, tra gelati “ricoperti” e ambienti chiusi.
Forse un lavoro come un altro, o forse no.
A casa mi ritrovo con la maschera anti-polveri in mano. La ripongo nell’armadio, magari un giorno potrebbe tornare utile. Mi metto a disinfettare qualsiasi cosa abbia toccato il suolo all’interno della base e all’improvviso: “Ma non sarebbe molto più semplice evitare di scavare basi militari nelle montagne e godersi un bel cornetto davanti ad un film? Magari non di guerra. Magari non sottoterra” penso.
Però stavolta agisco: caccio i pensieri bellici e mi apro un bel gelato, facendo partire un film. Fate come me. Magari a volte per impedire una guerra (grande o piccola che sia) basta solo un ricoperto al cioccolato.
Foto di Matteo M., Valerio F e Marco M. – Team Urbex Lazio
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Commediografo, teatrante, comico ed esploratore urbano. Come si conciliano queste personalità? Fa parte del carattere di Matteo. Autoironico ma determinato.
Amministratore del profilo Instagram di Ascosi Lasciti e autore di articoli, principalmente nel Lazio.