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Mozzarelle e “Ave Maria”. Genuflessioni, scamorze, formaggi e penitenze. Un minestrone di sacro e profano, dove il sacro risiede senza dubbio nella produzione (e soprattutto nel consumo) di latticini: un fiore all’occhiello dell’industria alimentare nelle zone specializzate della Campania.

Sembrerebbero parole a caso di un blasfemo psicopatico, e invece esiste un luogo in cui il bizzarro accostamento è un puro fatto: sulla sommità di un monte alto più di 800 metri, ecco un monastero (incompiuto) e un caseificio (dismesso) in piedi l’uno accanto all’altro, attaccati come due siamesi – ma non gemelli, non fratelli, bensì affiancati soltanto in un caldo abbraccio tra cadaveri architettonici. Poiché nascita, crescita ed estinzione dei due edifici seguono percorsi e descrivono storie completamente divergenti.

La realizzazione di un monastero rispondeva al progetto di un imprenditore locale, noto per numerose opere pubbliche a scopo di beneficenza, tra le quali doveva essere inclusa questa sinuosa opera d’architettura religiosa, destinata a sorvegliare la vallata dall’alto.

L’edificio fu disegnato e iniziato negli anni della ripresa economica dopo la seconda guerra mondiale, con l’idea di reintrodurre un ordine monastico all’interno della comunità locale. Ma la morte prematura dell’imprenditore segnò, purtroppo, anche l’interruzione dei lavori di costruzione, generando una classica incompiuta che sarebbe da allora rimasta per sempre in sospeso, nonostante numerose (le solite!) proposte di riqualificazione lanciate nel vuoto.

Le forme bizzarre e suadenti di questa incompiuta conservano soltanto la forza dell’allusione, il resto è lasciato all’immaginazione dei rari visitatori che, come noi, giungano qui per qualche scatto. Non solo la torre centrale, ma anche le ringhiere a colonnine in pietra, insieme ad altri fregi abbozzati, lasciano intravedere un potenziale interessante, che accresce i rimpianti per la sospensione del progetto. Per di più, dall’alto della montagna il panorama è strepitoso, e la luce prossima al tramonto ne abbellisce i colori e disegna il quadro malinconico e affascinante di questo paesaggio montano.

Venendo fuori da un lato del monastero, prima di fare ingresso nel caseificio si passa davanti a un furgone di formaggi e mozzarelle, ammaccato e arenato in un prato: sbirciando tra le portiere posteriori spalancate, viene da immaginare i vari latticini un tempo disposti sulle mensole ormai incrinate. Varcata la soglia del caseificio, ho esitato qualche minuto a causa di un rumore intermittente di saracinesche: la prudenza non è mai troppa. Ma la ripetitività e costanza del suono metallico mi hanno fatto presto dedurre che si trattasse soltanto del vento. Svanito ogni timore, ho potuto constatare come all’interno dell’ex azienda casearia gli ambienti avessero preservato diversi elementi che rimandavano dell’attività ormai estinta. Tra questi, ho ritrovato ancora perfettamente intatto il bancone trasparente della vendita diretta di prodotti.

Lo stato di conservazione dell’opificio sembra suggerire un abbandono piuttosto recente. D’altronde, un vecchio video pubblicitario, ancora presente in rete, ne testimonia l’esistenza almeno fino a quattro anni fa: è stato davvero straniante confrontare le immagini del video, che ritraggono il caseificio operativo, con gli ambienti svuotati e silenziosi di oggi. Ma l’urbex è proprio questo, no?

Alla fine, nessuno ci accuserà di esternazioni empie se scegliamo di cogliere il sacro non nel monastero incompiuto, mai realmente inaugurato, bensì nel caseificio dismesso di color giallo, che riposa giusto accanto, vero?

Per vedere ulteriori foto di questi due edifici o altri luoghi abbandonati, visita Derive suburbane o la relativa pagina Facebook.

Altrimenti resta su Ascosi lasciti per scoprire gli edifici sacri abbandonati o l’archeologia industriale italiana.

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