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Gairo : il paese della terra che scorre

Articolo di Gennaio 19, 2020Nessun commento

Il Paese della fertilità e della pace: Gairo vecchio, in dialetto Gairu becciu, nacque tra il tredicesimo e il quattordicesimo secolo.
Prima di divenire paese, tuttavia, veniva già indicata da secoli come area geografica non ben definita. Ospitava piccoli rifugi e agglomerati di case.
La sua principale funzione era quella di raccogliere contadini e artigiani delle popolazioni limitrofe. La crescita demografica di quest’area, infatti, si espanse nell’arco di tre secoli cruciali per l’emigrazione locale.
Il primo di questi fu il nuovo millennio, che portò a Gairo le popolazioni scampate alle invasioni marittime del califfo al Malik; questo ambizioso generale arabo tentò più volte di invadere la costa est della Sardegna, costringendo i suoi abitanti a migrare verso l’interno.
Il secolo successivo invece disperse le vittime della violenta carestia che colpì l’Isola. In grandi masse, si mossero nell’entroterra alla ricerca di terreni fertili da coltivare.Infine, nel 1258, Gairo diede asilo alle popolazioni scappate dai conflitti tra i Pisani e i Visconti, per la spartizione della Sardegna orientale.

Alla fine di questi tre secoli nacque il borgo vero e proprio: si ipotizza che l’etimologia del suo nome derivi dal fenicio “Gabaiar”, colle selvoso.
Altre teorie prendono in considerazione anche la parola “Hiair”, ovvero “luce,illuminazione”.
Tutte accezioni positive che rimandavano alle speranze di chi vi fuggisse per le aspettative di vita.

Il Paese della terra che scorre: il primo ufficiale documento che attesti l’esistenza di Gairo vecchio, risale al 1316, sebbene esistesse con certezza da molti più anni.
Costruito vicino a un ovile, ai piedi del monte, accanto al corso di Rio Pardu, godeva di un’ottima posizione.
La fertilità della sua terra e l’ospitalità della natura fecero di Gairo il posto ideale dove fuggire e insediarsi.
Gli artigiani impararono a convivere assieme a contadini e pastori, in una comunità modesta e cooperativa.
Nessun nobile, nessun militare.
Solo lavoratori disposti a mettere la propria arte a servizio della società.
Niente lussi, nessun privilegio, alcuna ambizione.
Le modeste dimore mancavano, nella maggiore probabilità, di bagno e camere.
Tanto stretti erano gli spazi, che accanto al focolare domestico dormivano ,insieme agli ospiti, bestiame e animali domestici.
I materiali usati per le case erano granito e rocce locali.
Come legante era solito usare una malta improvvisata di fango,calce e sabbia; quest’ultima era prodotta in un forno ,condiviso dall’intera comunità, che rimase attivo fino alla metà del ‘900.

Contrappasso storico : le doti che portarono Gairo a crescere furono le stesse che lo condannarono lentamente alla deriva.
I Corsi d’acqua che lo bagnavano e il monte che lo sovrastava, resero queste terre estremamente friabili.
Quattro tra le numerose frane che investirono il villaggio, furono particolarmente violente e costrinsero gli abitanti a ricostruire il villaggio.
Non è un caso che tutte e quattro siano avvenute tra la seconda metà dell’800 e il ‘900.
Le precarie condizione idro-gelogiche di quest’area, infatti, erano state rese ancora più instabili dal disboscamento selvaggio che prese di mira la vegetazione circostante.
Motivo principale di tale disboscamento fu la sua legittimazione ,da parte dei governi, per la costruzione rapida di ponti e traversine delle linee ferroviarie.
Il quarto grande smottamento del 1951, decretò la fine del villaggio.
Dopo numerose discussioni sul posto nel quale trasferire l’antico borgo, si decise di frazionarlo in tre nuovi paesi: Gairo Sant’Elena, costruita semplicemente più a monte, Gairo Taquisara e Gairo Cardedu.
Nel 1963 Gairo Vecchio cessò definitivamente di essere abitato.

Il paese Fantasma: se un tempo attirava le speranze di una vita tranquilla, ora Gairo Vecchio è meta della curiosità di alcuni turisti o degli appassionati del mistero.
Per ragioni di sicurezza è vietato entrare o avvicinarsi alle vecchie case.
Ma tra i viottoli e i ruderi, sono ancora distinguibili le caratteristiche di povertà e modestia nella quale vissero gli abitanti.
Attraverso le finestre sono visibili scale e caminetti non rifiniti e di materiale poco oneroso; travi di legno marcito e strade in ciottoli delle rive del torrente.
Le pareti degli edifici, che erano state dipinte di rosa e blu per ingannare la monotonia di una architettura povera e spoglia, sono lacerate dalle frane e dal martellio insistente della pioggia.
Ma in inverno, nelle giornate fredde e buie, la nebbia fitta sembra colmare con la sua densità i buchi causati dal tempo e dal degrado.
Così riemergono dalle nubi quei colori vivaci che avvolgono il passante in un’antica atmosfera incantata e accogliente.

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Foto : Jonathan della Giacoma
(qui i suoi articoli)

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