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Dopo la Liberazione, si festeggia il Lavoro (e le tutele conquistate): il 1° maggio celebra la Festa dei lavoratori, e ricorda le lotte operaie per i diritti, in particolare per la riduzione degli orari lavorativi. Se oggi la norma prevede “solo” otto ore di produttività giornaliera, lo dobbiamo al sudore e al sangue di chi si è battuto per rivendicare condizioni più umane sul proprio Posto.

La nostra Costituzione, d’altra parte, dedica il suo primissimo articolo a questo aspetto: è sul lavoro che è fondata la nostra Repubblica democratica. Eppure, proprio l’archeologia industriale testimonia una triste storia: la dismissione delle fabbriche chiuse sul suolo italiano ha significato l’improvvisa disoccupazione e la perdita di basi di sopravvivenza e prospettive future per migliaia, forse centinaia di migliaia di famiglie italiane.

A volte dimentichiamo la storia sociale di questi luoghi abbandonati, che oggi appaiono solo come una meta degli appassionati di esplorazione urbana.
Noi di Ascosi Lasciti abbiamo rintracciato e visitato centinaia di opifici dismessi, ed oggi proponiamo una classifica di 8 fabbriche chiuse tra le più importanti in Italia, fra quelle abbandonate che abbiamo trovato. Ma non si tratta soltanto di ammirare macchinari e strumentazioni vecchie di decenni: abbiamo scovato luoghi a dir poco insoliti, e all’interno di questi colossi di cemento armato e metallo abbiamo trovato sorprese di ogni tipo.
Non resta che mostrarvele.

8° posto: Emilia-Romagna, Lazio.

8) GLI ZUCCHERIFICI. Costretti a cessare l’attività, dismessi, abbandonati. Quattordici in Italia sono le fabbriche chiuse di questo tipo, per un decreto dell’unione europea atto a regolamentare la sovrapproduzione di dolcificante della barbabietola da zucchero. Annessi a loro, spesso, distillerie che producevano alcool ad uso alimentare e denaturato disinfettante. Proprio in un periodo in cui si cercano disperatamente igienizzanti a base alcolica, ci si rende conto dell’effettivo valore di questi ruderi.
Lo zuccherificio emiliano-romagnolo che andiamo a mostrarvi è sicuramente il più bel “fantasma” (o meglio definirlo “spirito”, parlando di alcool) rimasto sul suolo italiano. Molto bello anche il “testimone” rimasto nel lazio.

7° posizione: Sardegna

7) LE “CHIMERE”. Giganteschi opifici oppure cementifici, abbandonati ma ancora saltuariamente sorvegliati dalle forze dell’ordine. Perché? Le fabbriche chiuse da non molti anni, seppure versino in stato di abbandono, senza manutenzione, con infiltrazioni e piccioni che spargono guano ovunque, diventano attrazione della malavita come miele per le api. Spacciatori, sfruttatori della prostituzione o semplici sciacalli che vengono a rubare gli oggetti di valore rimasti. Per gli esploratori urbani questi edifici diventano realmente difficili da fotografare.

6° posizione: Sicilia, Puglia

6) LE SALINE. Dopo lo zucchero, poteva mancare l’altro prodotto che giace sulle tavole di tutti gli italiani? Il mercato del sale un tempo, dalle miniere di estrazione ai monopoli di stoccaggio e distribuzione, garantivo lavoro a migliaia di operai nello Stivale. Due grosse struttue che abbiamo trovato abbandonate sono nell’entroterra siciliano, per l’estrazione di sali alcalini misti, e nel pugliese, per la sofisticazione dello iodio.

5° posizione: Umbria

fabbriche chiuse - centrale del carbone - urbex umbria - fabbriche abbandonate - urbex italia- edifici abbandonati5) LE CENTRALI A CARBONE. Le energie verdi stanno lentamente sostituendo i vecchi giganti del carbone. Aldilà del dibattito sull’effettivo beneficio portato dalla green-economy, quel che è certo è che l’eolico e il solare produrranno (fortunatamente per i nostri polmoni, sfortunatamente, nel breve periodo, per gli operai addetti) sempre più carcasse industriali di questo tipo, fabbriche chiuse e abbandonate.

4° posizione: Campania, Lombardia

4) LE FABBRICHE PER LE EMERGENZE SANITARIE  Abbiamo esplorato un’industria in Campania di materiali disinfettanti e, più in particolare, di ovatta per le medicazioni. Il tema è attuale e fortemente discusso: gli Stati per avere macchinari, disinfettanti, presidi di protezione e mascherine, devono essere autonomi nella produzione o possono fare affidamento su partner che, nei momenti di difficoltà, garantiscano loro il giusto apporto di merci?
L’industria farmaceutica lombarda ,che vi mostriamo sopra in foto, solleva un altro tema altrettanto dibattuto in tempi pandemici, quello della sperimentazione animale: inutile negarne l’importanza per la scoperta di vaccini e cure, quanto stupido sarebbe celarne la crudeltà, nonostante alcune leggi cerchino di salvaguardare dalla tortura i poveri animali sottoposti ai test. Questa fabbrica, in particolare, era di un’industria chimico-farmaceutica che ha spostato la sua sede altrove, lasciando questo enorme “fantasma architettonico”.
Entrambe le fabbriche, insomma, sono chiuse in momenti in cui ce ne sarebbe fortemente bisogno.

3° posto: Puglia

3) LE BIOTECNOLOGIE CHE SFIDARONO GLI “O.G.M.”: innesti, selezioni artificiali di specie naturalmente più resistenti ai parassiti, furono alcune delle armi che provarono a combattere il meccanismo degli organismi geneticamente modificati (OGM). La legge “Diamond vs Chackrabarty” tuttavia diede il via libera a quest’ultimi, facendo primeggiare le aziende del settore biotecnologico che ne facevano uso. Le gestioni del complesso che faceva uso di soli meccanismi naturali, non impeccabili, persero la loro chance dimostrativa ed i finanziamenti iniziarono a ridursi progressivamente fino alle definitive chiusure delle fabbriche di questo tipo.

2° posizione: Piemonte

2) FABBRICHE “D’AUTORE”. Veri esempi di alta ingegneria industriale, questi due stabili del piemontese rappresentano i precursori di quella che è l’odierna generazione di industrie. Risparmi energetici, sicurezza strutturale, alta luminosità.  Trattasi del palazzo del lavoro (foto sopra), padiglione polifunzionale, e dei paraboloidi (foto sotto), magazzini e monopoli di Stato, entrambi dell’illustre ing. Pier Luigi Nervi. Oggi sono solo fabbriche chiuse e inutilizzate.

1° posizione : Lombardia

1) LE “CATTEDRALI” INDUSTRIALI LOMBARDE. Al primo posto della classifica si piazza un capolavoro architettonico, o meglio un insieme di giganti dell’archeologia industriale: i cementifici (foto sopra) la cui vista può letteralmente mozzare il fiato. Molti di essi già dagli anni Ottanta furono sottoposti a vincolo architettonico. Oggi, sebbene abbandonati e interdetti al pubblico, restano veri monumenti al lavoro, ad un lavoro che purtroppo non c’è più.
Sempre in Lombardia giace un altro “tempio industriale”, un lanificio (foto sotto) che gode degli stessi giochi di prospettiva offerti dalle simmetriche colonne, con l’aggiunta di una quasi “celestiale” luce blu filtrata dalle lunghe vetrate. E una triste storia. Una testimonianza fatta di soprusi ai dipendenti, casse integrazioni, licenziamenti che rendono questo luogo, più che una “chiesa”, un “martire” della festa dei lavoratori.

Insomma, da queste fabbriche chiuse e dalle storie che esse nascondono si evince una cosa sola: dove non c’è lavoro, non c’è festa.
Per non lasciarvi con “l’amaro in bocca”, vi proponiamo alcuni esempi in cui la street art e i graffiti d’ autore hanno reso i muri degli opifici dismessi, vere e proprie tele di opere d’arte.

Per esplorare tutte le fabbriche chiuse a abbandonate del nostro archivio, fai click qui.
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