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Non una semplice fabbrica, ma se dobbiamo chiamare le cose con il loro nome, in questa esplorazione per l’esattezza ci siamo trovati al cospetto di una filanda abbandonata.

Una calda giornata primaverile, nel piccolo parco della città,  un numeroso gruppo di famiglie passavano una domenica spensierata. Quella domenica il nostro picnic fu ben diverso, dopo un tradizionale pranzo a base di panini imbottiti, con Valerio e Matteo iniziammo a cercare il varco nascosto che ci avrebbe portato all’interno della più grande fabbrica tessile del Lazio.

Il primo edificio fu abbastanza semplice da raggiungere, una volta al suo interno ci ritrovammo immersi in una vera e propria giungla, il tetto crollato e il passare degli anni avevano fatto si che all’interno di questa filanda abbandonata la natura riprendesse i propri spazi.

Scoprì una volta tornato a casa che quella non era il luogo che cercavamo, ma una struttura costruita in seguito per provvedere al fabbisogno di acido solforico necessario alla produzione di una particolare fibra artificiale della fabbrica vicina.

Raggiungere la nostra location invece divenne una impresa, la fitta vegetazione di rovi e la vastità del perimetro annientarono le nostre energie, fino a quando per un colpo di fortuna riuscimmo a trovare un varco nella rete.

Ci ritrovammo in quello che un tempo fu il viale principale dell’enorme fabbrica tessile.
Inaugurata nel 1928 si estendeva su un terreno di circa 30 ettari, 20 di questi oramai inglobati nella attuale città furono destinati alle case degli operai, strutture assistenziali e ricreative, spacci alimentari, teatro, campo da calcio, biblioteca e un circolo dopolavoristico.

Vagammo per i vari padiglioni bonificati dopo la chiusura dell’impianto nel 2006, sparsi qua e la potevamo ammirare i resti dei gloriosi macchinari che un tempo, in quella che oggi è una filanda ormai abbandonata, nel periodo della sua massima attività davano lavoro a circa 4500 operai.

Il nostro girare senza uno schema ben preciso ci portò sotto l’enorme camino, la voglia di scalarlo non passò minimamente in testa (invito i lettori a lasciare perdere queste bravate) ma quando vedemmo una delle sezioni orizzontali rimosse, entrammo senza pensarci due volte al suo interno.

Passammo probabilmente la maggior parte del nostro tempo in quel luogo così insolito, scattammo foto e qualche selfie urbex dimenticando quanto ancora avevamo da vedere.

Purtroppo era giunta l’ora di andare, con la promessa di tornare nella filanda abbandonata per una esplorazione più accurata cercammo un passaggio semplice per raggiungere l’uscita.

Foto di: Valerio Fanelli, Matteo Montaperto, Marco Moro

L’obiettivo dell’esplorazione è toccare il fondo e la cima, toccare… per vedere se la porta si apre.

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Se questa filanda abbandonata ha stuzzicato la tua curiosità, ecco una lista di fabbriche abbandonate. Altrimenti perché non esplorare virtualmente i luoghi abbandonati del Lazio?

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