Storia (vera) di una piccola cittadina abbandonata.
“Io mi trovo bene qui. C’e un bel panorama, si respira una bell’aria e non mi manca niente. Ho anche la casa a San Giovanni, ma non ci vado mai. Ho il telefono, il cellulare…”. (Fantino, il fratello maggiore di Carello)
Inizia con un dialogo fra me ed un’anziana del posto il mio primo viaggio a Fantino, una piccola cittadina abbandonata giù nella folta vallata del fiume Neto. Un borgo oggi quasi totalmente deserto ma che fino agli anni sessanta era la frazione più popolata di San Giovanni in Fiore, comune così distante da Fantino, da rendere quest’ultimo autonomo ed indipendente. Fiorente come il verde che ha attorno, è l’espressione più azzeccata.
La signora racconta che tranne in periodi di vacanza e nel giorno di festa per San Giovanni Battista Infante (San Giuvannello nel dialetto della zona), il borgo (che si divide in superiore ed inferiore) è abitato da circa dieci famiglie, in prevalenza anziani o persone dedite alla pastorizia ed agricoltura. La mia prima volta a Fantino, è stato un viaggio che ho intrapreso con Costantino Rizzuti, soundartist calabrese, che aveva concretizzato l’idea di portare una sua installazione in giro per i luoghi interni della Calabria, raccontandoli in una maniera alternativa.
Da allora, in quella cittadina abbandonata, ci torno spesso anche se non ho più incontrato nessuno.
Le poche persone presenti sono schive ed anche la signora con cui parlai all’epoca, volle mantenere l’anonimato.
Secondo alcuni racconti popolari, il fondatore del borgo fu un pastorello di Pedace che decise di fermarsi in questo luogo. Secondo invece le fonti storiche, le prime testimonianze sono datate intorno agli inizi del 1700. L’origine del nome invece, è da rintracciare in una statua dedicata a San Fantino, portata dai monaci della vicina Abbazia di Santa Maria dei tre fanciulli.
Vero è che Fantino, sviluppatosi dal basso verso l’alto, nei primi anni raggiunse la strada che ancora oggi lo divide in inferiore e superiore, arrivando a toccare gli 800 abitanti negli anni sessanta. Nonostante una buona accessibilità stradale, mantenuta ancora oggi per via della discarica del Vetrano, questa cittadina abbandonata a partire dagli anni ottanta iniziò a spopolarsi in modo sempre più accentuato. La stessa signora, mi parlò all’epoca di un processo di edilizia popolare attivato dal comune di San Giovanni in Fiore, che portò molti degli abitanti a trasferirsi lì.
Ad oggi Fantino conta circa 20 abitanti ed è prossimo alla scomparsa.
Ed in effetti i segni dell’abbandono, lasciate le poche case abitate e quelle destinate a dei ritorni provvisori, sono evidenti. Una fitta rete di piccoli vicoli che vanno verso valle, con i segni di uno spopolamento sempre più tangibile. Rimane la memoria di quelle case oramai diroccate, con i tetti sfondati e le porte aperte. Da una piccola finestra aperta, notiamo delle pile di giornali su di una sedia ed in altre abitazioni, scorgiamo i resti di un salotto o di una camera da letto. Il tutto riflettendo ed effettuando un esercizio di memoria.
Fantino ad oggi, rischia il totale abbandono, ma è un esempio di resilienza. Alcune terre della cittadina abbandonata sono coltivate, alcuni ex abitanti ritornano per dei brevi periodi e le pecore ad oggi, sono più di chi ha deciso di rimanere.
In un borgo che si sta consumando con il passare del tempo, qualcuno resiste.
Ed è anche felice.
Le Corde dell’anima in cammino: Fantino
realizzato da Francesco Cristiano & Costantino Rizzuti
Francesco Cristiano
L’obiettivo dell’esplorazione è toccare il fondo e la cima, toccare… per vedere se la porta si apre.
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Se questa cittadina abbandonata ha stuzzicato la tua curiosità, ecco una lista di borghi abbandonati. Altrimenti perché non esplorare virtualmente i luoghi abbandonati della Calabria?
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Il progetto Ascosi Lasciti nasce nel 2010, tra i primi in Italia a dedicarsi al tema dell’abbandono di infrastrutture, trattato in tutti gli aspetti. Si sviluppa grazie al lavoro di squadra di un team ramificato sul territorio, fino al 2020, anno in nasce l’omonima associazione culturale. Il collante di tutto? L’amore per l’urbex, la riscoperta di luoghi dimenticati.