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Tra un lembo di spiaggia ed una linea ferroviaria si espande, per oltre diciannovemila metri quadrati, una perla dell’archeologia industriale: una fabbrica in degrado composta da un complesso di edifici abbandonati appartenenti alla società Corradini che, per circa un secolo, ha fatto la storia del Mezzogiorno.

Eretto nell’ultimo ventennio del 1800, l’immenso complesso di capannoni (temporalmente coincidente alla realizzazione della prima linea ferroviaria italiana, la Napoli-Portici) fu attivo nel settore metallurgico e diede lavoro a migliaia di operai che lo resero gloriosamente operativo. Il suo progressivo declino coincise con il secondo conflitto mondiale, che lo ferì a morte.

Si impiegò soprattutto nella produzione di acciaio e armi.

L’ex stabilimento Corradini, già inserito in un contesto di degrado ambientale e sociale non di poco conto, versa, ad oggi, in stato di avanzata fatiscenza: ridotto a capannoni pericolanti, strutture sgretolate dal tempo e cinto di sterpaglie che rendono molte zone inagibili, questa ex fabbrica metallurgica in decadenza sta lentamente scomparendo.
In conseguenza, poi, a numerosi crolli (l’ultimo dei quali risalente all’ottobre del 2020 nell’ex fabbrica pellami De Simone, parte del complesso) è stata necessaria una messa in sicurezza con lavori di somma urgenza.
Ad aggravare una situazione già critica, l’ambiente circostante: ad oggi una vera e propria discarica che da anni, ormai, determina l’interdizione dello specchio di mare alla balneazione.

Negli anni scorsi il complesso della Corradini è stato oggetto di lavori di bonifica da materiali contenenti amianto, la cui minaccia ne penalizza la riqualificazione.
Affinché tale bene comunale possa essere recuperato e che un tratto della costa orientale della città venga riconsegnato ai cittadini, il Comune di Napoli (a cui la struttura appartiene da circa un ventennio) ne sta, di giorno in giorno, valutando le sorti, senza successo. Attualmente nemmeno la società Porto Fiorito, a cui è stata concessa parte della struttura e a cui erano stati affidati i vari progetti di ripristino, sta riuscendo nell’intento; pertanto, le varie proposte (tra cui quella di renderlo un porto turistico o un centro culturale o una sede universitaria) sono ancora tanto lontane.

Nell’alternarsi di capannoni smembrati e scheletri di edifici che, però, ancora resistono, ciò che parla di questa fetta abbandonata di storia partenopea è la gigantesca ciminiera dell’altoforno, gli stucchi originali di alcuni interni ben conservati, una decina di forni, bulloni ed utensili in ferro battuto sparsi lungo il chilometro e mezzo di percorso e qualche vecchia targa.

Accarezzata dallo scrosciare del mare da un lato ed inghiottita dal caos cittadino dall’altro, questo museo a cielo aperto conferisce alla parte orientale di Napoli un aspetto tanto affascinate quanto spettrale e malinconico.

Se questa fabbrica in degrado ha stuzzicato la tua curiosità, ecco una lista di fabbriche abbandonate. Altrimenti perché non esplorare virtualmente i luoghi abbandonati della Campania?

L’obiettivo dell’esplorazione è toccare il fondo e la cima, toccare… per vedere se la porta si apre.
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