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Ri-leggiamo la storia: una masseria abbandonata fulgido esempio di imprenditoria agricola.

Una gentile brezza settembrina carezzava il suo volto rugoso e ispido d’una barba canuta. La bruma ricopriva la Murgia tutt’intorno in attesa di sciogliersi al sole che presto si sarebbe levato. La figura di Giuseppe si stagliava irta fra le pietre di un terreno che aveva imparato ad amare. Quanto era lontana Napoli! Il suo mare e la sagoma del Monte, temuto “assassino” eppure tanto amato. Ma ormai era quella la sua nuova patria. S’arrovellava nei pensieri tra il latrare dei cani e le ombre dei primi coloni, silhouette perse nella foschia che s’avviavano ai campi. A che punto della vita si trovava? Cercò di cingere con lo sguardo la più parte che poteva dei suoi possedimenti e volle abbracciarli col pensiero animato di sincero amore per ciò che aveva creato. Ma Giuseppe Bucci non era uomo di facili romanticismi né tanto meno era incline ad adagiarsi sugli allori d’una battaglia vinta. Era la guerra che doveva vincere. Era un impegno preso verso la sorte che tanto lo aveva favorito, almeno quanto il suo munifico suocero.

Giuseppe veniva dal Salento e la Napoli che, agli albori del nuovo secolo, si offrì a lui come nuovo luogo natio, nel ’35 gli donò in consorte Giulia Tuttavilla, primogenita del Duca Luigi di Calabritto, traendone in dote un immenso feudo agrario a pochi chilometri da Minervino Murge, nella Puglia cui era destinato a tornare. Possedimenti di origine feudale che a causa dei dissesti erano ridotti in pessimo stato e che la sua caparbia dedizione stava risanando attraverso un piano di trasformazione fondiaria, ideato e voluto secondo visioni tutt’affatto moderne. L’eco delle sue gesta aveva travalicato mari e montagne sollecitando interesse in tanti, in Italia e nel resto d’Europa, che si legarono a lui in riconoscente debito.

Il destino beffardo volle, tuttavia, strapparlo prematuramente ai sogni e alla sua amata famiglia che, prendendo le redini del progetto appena avviato, pensò bene di onorarlo come marito, padre ed imprenditore. Il 28 ottobre del 1877 Donna Giulia Tuttavilla pose la prima pietra attorno alla quale sarebbe sorto un imponente palazzo destinato ad essere sede e propaggine della trasformazione di Lamalunga da sistema pastorale, in una tenuta ad intensa produzione viticola ed olivicola (estesa per 350 versure di oliveti e vigne) dotandola di attrezzati stabilimenti, cantine, impianti di irrigazione ed ogni possibile innovazione tecnologica di supporto. Il 28 ottobre del 1878, esattamente un anno dopo, Giulio – primogenito di Giuseppe che aveva fatto suo il motto della famiglia «Vinci aut mori» dedicandosi completamente alla vita dei campi – consegnò alla madre ed alla storia l’opera cui attese assieme ai fratelli Lucio ed Enrico.

Oculati investimenti e anni di intenso lavoro, favorirono la produzione di cereali, e grandi successi furono ottenuti nel settore vinicolo e oleario. Lo stabilimento vinicolo e le industrie annesse, come la distilleria delle vinacce e l’estrazione del cremore di tartaro, furono implementati con perfetti macchinari e la cantina «monumentale» divenne presto richiamo per docenti e studenti, enologi e viticoltori italiani e stranieri. Pubblici riconoscimenti in diverse mostre con medaglie d’oro e diplomi di benemerenze furono tributati a suggello e Lamalunga fu presto additata come podere-modello distinguendosi nell’intero panorama agricolo del Mezzogiorno.

Giulio Bucci muore nel 1887, in un momento di grande difficoltà per l’economia italiana, lasciando ai due fratelli la gestione dell’intera azienda cui si sommarono le tenute di «La Torre» e «Cirillo» che presto vennero dotate di stabilimenti enologici ed oleari a tendenza prettamente industriale. Enrico Bucci, terzo figlio di Giuseppe ebbe a sua volta due figli: Umberto ed Emilio.

Umberto Bucci nato il 22 maggio 1877 a Napoli, entrò in Accademia Navale il 1889 portando avanti una carriera militare di primordine pur mantenendo attenzione all’impresa agricola, come recita la lapide in sua memoria, “…fondendo nelle sue attività l’audacia del marinaio con prudente sagacia dell’agricoltore”. Nel suo periodo di massima espansione, Lamalunga constava di 13 case coloniche, uno stabilimento oleario-vinicolo, un dopolavoro, una chiesa ed una scuola rurale, un ambulatorio C.R.I., dormitori per operai, magazzini, arrivando ad ospitare sino a 130 persone.

Noi l’abbiamo chiamata “la Villa dell’Ammiraglio” ma, come si scopre dalla storia, questo gigantesco complesso residenziale e produttivo è il frutto del lavoro di un’intera genia che prende le mosse sin dagli albori dell’ 800 attraversando la storia d’Italia e del Mezzogiorno in particolare. Un fulgido esempio di perizia imprenditoriale, certo, ma anche la conferma – ove mai ce ne fosse bisogno – che il Sud della nostra penisola non era affatto la zona depressa e marginale che ci hanno raccontato dal secondo dopoguerra in poi. Qualcosa andrebbe rivisto nella storiografia ma, innanzitutto, nei nostri atteggiamenti spesso eccessivamente rinunciatari e colpevolmente vittimistici.

Se questa masseria abbandonata ha stuzzicato la tua curiosità, ecco una lista di casali, fattorie e masserie abbandonate. Altrimenti perché non esplorare virtualmente i luoghi abbandonati della Puglia?

L’obiettivo dell’esplorazione è toccare il fondo e la cima, toccare… per vedere se la porta si apre.
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