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“C’è un castello fatiscente dove ti devo troppo portare. Ma stai attento. C’è una strana energia lì dentro, io ci sono già stata e ho avvertito qualcosa di inquietante”.
Inizia così, un pomeriggio, la conversazione con Chiara riguardo un luogo che lei conosce e dove si è già recata in passato.
“Guarda che non c’è nulla, non aspettarti affreschi o armature, anzi. Però lo devi vedere”.
Perfetto, penso. Mi hai convinto.

Cambio inquadratura. Come al cinema. Sono passate poco più di ventiquattro ore e sto percorrendo alle cinque di mattina una strada isolata di campagna. Un senso di brivido mi coglie all’improvviso vedendo alla mia destra qualcosa di veramente inquietante. Ma cosa c’entra, con tutto questo, il nostro castello? Andiamo per ordine e facciamo un piccolo passo indietro.
Zaino in spalla e macchina fotografica alla mano, io e Chiara ci apprestiamo a percorrere una stradina circondata da fitta vegetazione poco prima che cali il sole. L’estate ci consente ancora un bel po’ di luce ma sappiamo bene che non avremo, in ogni caso, tantissimo tempo.
All’improvviso ecco apparire davanti a noi il silenzioso castello fatiscente. Probabilmente “fortezza” è il termine più adatto per descrivere questa costruzione che non si presenta, effettivamente, come un maniero vero e proprio.
Alle nostre spalle notiamo subito una piccola chiesetta in pietra che domina l’intera vallata. Un’atmosfera incantevole, senza dubbio alcuno.
L’entrata principale della fortezza, lì dove sorgeva un pesante portone di legno, è chiusa da un moderno cancello di ferro che (secondo il mio modesto e irrilevante parere) serve anche a sostenere l’arco in pietra che ci sovrasta, in modo tale che non possa crollare. La struttura, purtroppo, è ormai segnata dal tempo.

Perlustriamo il perimetro e ci accorgiamo che, nonostante anche la porticina sul retro sia barrata, un modo per entrare c’è. “C’è sempre un modo per entrare” direbbe qualcuno che non possiamo citare.
Salterò la descrizione della tecnica sopraffina con la quale io e Chiara riusciamo ad addentrarci nel fatiscente castello ma vi prometto che la inserirò in un libro (comico) a parte.
La sostanza prima di tutto. Siamo dentro.
La sensazione, all’interno del cortile, è quella di un cambio climatico. Ci divide un cancello dalla stradina nel bosco ma siamo completamente in un altro mondo. Il mastio ci guarda dall’alto stanco e bucato mentre le finestre delle varie stanze sono occhi impenetrabili. Chiara ha ragione, non c’è nulla. Un paio di locali interessanti, dei punti luce fotograficamente validi ma non troviamo nessun oggetto. Soltanto mura. Mura e finestre. Mura, finestre e una scala in pietra. Quest’ultima ci conduce all’interno di un piccolo “appartamento” composto da tre stanze e un piccolo corridoio. I segni sono quelli di un restauro appena iniziato e mai finito.
Eppure. Eppure. Eppure. Eppure vorremmo poter far parlare la scienza ma qui passa tutto in mano alla parte più bestiale ed istintiva dell’uomo.

Cambio inquadratura. Come al cinema. Ora siamo gli occhi di Chiara, ci muoviamo col suo corpo. Come a ” Guardie e ladri” ci copriamo le spalle a vicenda, tanta la sensazione è di essere osservati, nonostante gli ambienti del fatiscente castello siano letteralmente vuoti. Ma c’era qualcosa o qualcuno ad attenderci: ci troviamo davanti due falene grosse e nere, silenziose guardiane, poste ai lati delle finestre.
Piede destro avanti, ho la sensazione di camminare sopra un pavimento molle quasi gommoso, di colpo avverto uno stordimento, la testa inizia a girare, mi porto avanti ancora più dentro e alzo la testa: per terra al centro della stanza una stella a cinque punte disegnata, a destra una croce rovesciata così come a sinistra ed una scritta satanica. Non la voglio leggere ad alta voce e voglio che nemmeno Matteo lo faccia. La fotografiamo ma dalle nostre bocche non esce nulla. Non leggetela ad alta voce nemmeno voi. A completare il quadro degli schizzi sbiaditi di sangue sulla parete, di fianco la scritta impronunciabile. Silenzio.

Cambio inquadratura. Come al cinema. Soggettiva di Matteo che guarda Chiara. La vedo preoccupata, la vedo turbata. Chi non lo sarebbe d’altronde. Siamo di certo capitati in un luogo in cui sono stati fatti uno o più riti satanici e so benissimo che lei avverte “altre” presenze molto più di me. Con calma, rispettosi delle nere farfalle, torniamo al centro del fatiscente castello per esplorare i pochi angoli che ci sono rimasti da visitare. La luce sta calando ed il tramonto ci lascia giusto quel tempo per altri due scatti e per il ritorno a piedi verso la macchina.
La vedo più rilassata, più tranquilla. Ci sorridiamo e questo basta. Mi lascerò tutto alle spalle, penso. Sbagliandomi.

Cambio inquadratura. Come al cinema. Quasi ventiquattro ore dopo. Parto prima dell’alba per questioni lavorative e, nel buio più totale di campagna, mi dirigo verso l’imbocco della statale. Dopo un rettilineo che taglia a metà dei campi coltivati mi ritrovo a percorrere una doppia curva che ormai conosco come le mie tasche. I fari ad un certo punto illuminano alla mia destra, sul ciglio della carreggiata quattro uomini a piedi. Percorrono la strada nel mio stesso senso di marcia a due a due con passo uguale, lento e meccanico. Sono totalmente vestiti di nero dalla testa ai piedi. Hanno un completo elegante e non tengono nulla in mano. Sono alti uguali, hanno il corpo uguale, hanno anche la stessa pettinatura. Dei brividi assalgono il mio corpo.
Non posso fermarmi né girarmi indietro per osservarli meglio in quanto si trovano proprio nel bel mezzo della doppia curva. Nella mia mente, ora e per sempre, saranno quattro figure senza volto.
È difficile descrivervi il senso di inquietudine di questo incontro. Forse perché non vi sono parole adatte per questo genere di accadimenti. Quante probabilità avrei avuto di incontrare quattro uomini così vestiti che camminano sprezzanti del pericolo a bordo strada nel buio e nel deserto più totale prima dell’alba? Perché erano lì? Dove andavano? Da dove venivano? Chi erano? …Cosa erano?

Qualche ora più tardi racconto tutto questo all’unica persona che può capirmi e ascoltarmi: Chiara. Mi racconta subito un episodio accaduto allo zio anni prima, sempre nella stessa regione. L’uomo si sta rinfrescando ad una sorgente perduta nel bosco quando quattro individui vestiti di nero gli chiedono un’informazione e, subito dopo, spariscono nel nulla, in un tempo irrealmente non credibile per la concezione umana. Il particolare più inquietante è che la sorgente alla quale lo zio di Chiara si sta abbeverando è vicinissima ad una casetta di pietra che per anni ha visto svolgersi all’interno riti satanici accertati dalle forze dell’ordine. Parliamo quindi degli stessi uomini? Non lo sapremo mai.
Gli stessi brividi? No, molti di più.

Cambio inquadratura. Come al cinema. Settecento anni fa. Dante Alighieri conosce il podestà di Arezzo e vi stringe un’amicizia fraterna. Ne nacquero questi versi scritti presumibilmente all’interno dello stesso castello:
“Intra Tupino e l’acqua che discende
del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa d’alto monte pende,
onde Perugia sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di rietro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo”.
Che il sommo poeta sia stata e sia tutt’ora una figura tra le più misteriose della storia dell’umanità non v’è alcun dubbio. Migliaia di leggende circondano la figura di Dante dalle più alle meno esoteriche. Fatto sta che quei quattro uomini vestiti di nero non avevano nulla di umano, nulla di rassicurante e se di Commedia si tratta, state pur certi che parliamo dell’Inferno.
Cambio inquadratura. Come al cinema. Fine.

Testo e Foto di Matteo Montaperto e Chiara Acaccia

Se questo castello fatiscente ha stuzzicato la tua curiosità, ecco una lista di luoghi infestati. Altrimenti perché non esplorare virtualmente i luoghi abbandonati dell’Umbria?

L’obiettivo dell’esplorazione è toccare il fondo e la cima, toccare… per vedere se la porta si apre.
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