Il primo raggio di sole riuscì a penetrare il fitto intreccio di rami di pini, lecci secolari e illuminò debolmente la sagoma di un capriolo finemente cesellata sulla culatta di un fucile. L’uomo che lo imbracciava vi batté sopra l’unghia dell’indice per attirare la mia attenzione. “Se il cervo rappresenta la maestosità e il cinghiale la forza” sussurrò, “il capriolo è il simbolo della grazia e della delicatezza”. Si tratta dell’animale più diffidente del bosco: l’udito il suo senso più sviluppato, poi l’olfatto, quindi la vista. Se il frastuono di un aereo lo lascia del tutto indifferente, il “crac” di un ramo spezzato lo mette immediatamente in allarme.
“La caccia… la caccia…”: mentre vago per le stanze della villetta disabitata, che vado oggi a mostrarvi, ripeto questa parola nella mia mente. Capirete anche voi lettori, presto, il perché.
Ricordando che nel descrivere la caccia, Platone, fa riferimento a tutte le forme di cattura, comprendendo il mondo animale, terrestre, marino e gli uccelli fino ad arrivare a quella dell’uomo, associando la caccia, ai furti, ai rapimenti e alla guerra, mette in luce, con un discorso ironico, l’assurda realtà che vede la legge tutelare l’aggressore. Un criterio contro ogni forma di logica della pietà che dovrebbe invece prevedere la tutela del più svantaggiato. È di svantaggio che bisogna parlare, ma non di debolezza. Non potremmo pensare che forse l’uomo disarmato per natura sia stato creato per essere cacciato dal momento che l’animale caccia per natura?
E la “caccia” di luoghi abbandonati? Anche noi esploratori urbani ci dilettiamo in questa pratica, anche se con metodi diversi, con armi e strumenti diversi, ma soprattutto la preda è differente. Si, anche essa è svantaggiata, manifesto del terzo paesaggio, e se lo desidera non si farà notare.
Molti luoghi abbandonati, sanno “nascondersi” bene.
Come questa villetta disabitata, immensa ma con poche stanze arredate, le quali ripagano la fatica della lunga strada fatta fino all’uscio affrescato della sala principale, bella e decadente, adornata con teste di animali impagliati.
Trofei venatori dal gusto dubbio.
Soprattutto curioso come l’ignoranza diffusa chiami questo luogo la “villa del bracconiere”, credo che l’ex abitante sia stato molte cose ma non un bracconiere. Avere prestigio e denaro non ti spingono a cacciare di frodo, tutt’altro.
Può quindi la caccia essere un’attività socialmente accettata e tollerata? Ho un vago ricordo di mio padre a caccia quando ero bambino, e di mio nonno prima di lui. Da un lato mi chiedo se la caccia possa essere etica e se debba essere considerata una pratica obsoleta. Dall’altra ci si schiera in sua difesa, dichiarandola un rituale per tradizione, con la principale funzione di equilibrare gli ecosistemi, assecondare la biodiversità, monitorare le popolazioni animali. Senza contare il pensiero secondo cui, tutto sommato, uccidere un animale in natura per nutrirsi potrebbe essere molto più giusto che costringerlo in anguste gabbie, imbottendolo di antibiotici e cibi grassi o artificiali.
Mentre con la macchina fotografica in mano rifletto su queste cose, trovo anche qualche lascito scritto.
Dopo una piccola ricerca ricostruisco un po’ la storia di questa villetta disabitata, simile a molte dimore come questa. La cosa che più mi ha incuriosito, è la storia di un’erede di questo sedicente cacciatore. Ingannato da una persona a lui vicina e fidata, con una frode degna di una fiction, quest’ultimo ha quasi ridotto sul lastrico la famiglia. Che ironia la vita: non eredità di cacciatore di frodo, ma erede caduto nella trappola della frode.
Il resto della villa non è così interessante: è un qualcosa di già visto e assaporato. Forse è meglio che vada, non mi sento a mio agio circondato da parti di animali impagliate.
“Mentre stava in questi e simili ragionamenti è fama che sopraggiungessero due leoni, così rifiniti e maceri dall’inedia, che appena ebbero forza di mangiarsi quell’esploratore urbano; come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno. Ma sono alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo vento, levatosi mentre che l’esploratore urbano parlava, lo stese a terra, e sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui diseccato perfettamente, e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale città di Europa.”
Se questa villetta disabitata ha stuzzicato la tua curiosità, ecco una lista di ville abbandonate. Altrimenti perché non esplorare virtualmente i luoghi abbandonati delle Marche?
L’obiettivo dell’esplorazione è toccare il fondo e la cima, toccare… per vedere se la porta si apre.
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Nato nel 1986. Fotografo per passione dal 2007. Appassionato di fotoreportage, ha trovato nell’Urbex un altro modo di raccontare storie.
Caporedattore per il blog decennale di Ascosi Lasciti.