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È stata una delle più rilevanti strutture di archeologia industriale jesina, il cascamificio abbandonato in viale don Minzoni, complesso produttivo dismesso da quasi vent’anni, un tempo fabbrica di filati è stato tra i più importanti stabilimenti per la cardatura e filatura dei cascami di seta, ossia gli scarti della lavorazione delle filande. Era il secondo, per grandezza, in Italia.

Occupava circa 630 persone, per lo più donne, inoltre è stato un pezzo fondamentale insieme alle filande della seta, del tessuto produttivo e sociale della città di Jesi. Una volta dismesso è divenuto sede di una ditta edile poi fallita. Il complesso giace in parte in rovina, immenso nei suoi oltre 18.000 metri quadrati di cui circa 9.000 coperti, appena entrati si manifesta come il centro di una città fantasma. Vuoto, ma con quell’architettura affascinante tipica della seconda metà del XIX secolo.

La sua storia risale esattamente al 1873 quando il Banco Industriale e Commerciale di Bologna cominciò la sua attività a Jesi, la quale purtroppo non decollò mai, cosi nel 1884 il cascamificio venne acquistato dall’ingenere Giuseppe Bonacossa e dai nipoti Primo e Secondo. E fu in particolare quest’ultimo che, ristrutturando gli impianti e organizzando le lavorazioni, dette un impulso decisivo allo stabilimento.
Questo fu il periodo d’oro, nel 1891 la produzione occupava 102 uomini e 530 donne, di cui 32 sotto i quindici anni e lavorava ininterrottamente h24 per 365 giorni all’anno senza mai fermarsi. Una piccola battuta d’arresto avvenne nel 1901, il numero dei dipendenti scese complessivamente a circa 360 lavoratori.

La svolta purtroppo negativa si ebbe in seguito alla bolla del 1929 e la situazione negli anni successivi non migliorò, ma non si arrestò, infatti anche sul finire della seconda guerra mondiale la seta e i suoi lavorati, venivano venduti tutti allo stato maggiore della Wehrmacht, per confezionare paracaduti per la Lutwaffe e per i Fallschirmjäger.
Nel 1944, il cascamificio fu danneggiato insieme ad altre strutture civili e produttive dall’esercito tedesco, per coprire la ritirata dello stesso oltre la linea Gotica, a seguito della battaglia di Filottrano e l’avvicinamento a Jesi del Battaglione alpini Piemonte. Jesi verrà liberata la mattina del 20 luglio 1944, e per un po’ di tempo gli enormi capannoni restano silenziosi e immobili. Nell’immediato dopoguerra si riprende la cardatura e filatura dei cascami, fino alle soglie del 2002 dove il cascamificio cessa la sua attività e dove per oltre un secolo ha dato lavoro a centinaia di persone.

Per anni il cascamificio è rimasto abbandonato e dimenticato, ma presto rinascerà, grazie al programma nazionale della qualità dell’abitare (PINQuA) del Ministero per le Infrastrutture e la Mobilità sostenibili, il quale finanzia il progetto di riqualificazione urbana presentato dai Comuni di Jesi, Maiolati Spontini, Monte Roberto e Castelbellino tramite la Regione Marche e di cui la Fondazione Pergolesi Spontini è partner privato e proprietario dell’immobile con acquisto all’asta nel 2021.
Lucia Chiatti, direttrice generale dell’ente teatrale, ai giornali locali nel luglio 2022 rilascia la seguente dichiarazione: È uno spazio dove saranno trasferiti i nostri laboratori teatrali, il magazzino di scene e costumi, dove le maestranze dello spettacolo dal vivo potranno avere uno spazio tutto loro per lavorare, creare e guardare con ottimismo al futuro. Uno spazio multidisciplinare, dove scenografi, falegnami e pittori potranno creare contemporaneamente scenografie per diverse opere. È un progetto ambizioso di cui siamo entusiasti di far parte;
Il cascamificio ha rappresentato uno spazio produttivo importante per Jesi, spero che con questa riqualificazione lo si salvi dal degrado e gli si dia nuova vita.

Se questo cascamificio abbandonato ha stuzzicato la tua curiosità, ecco una lista di fabbriche abbandonate. Altrimenti perché non esplorare virtualmente i luoghi abbandonati delle Marche?

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