

In Italia i collegi ebbero uno sviluppo diverso da quello che ebbero in altri paesi, come la Francia e l’Inghilterra. Erano infatti generalmente edifici in grado di ospitare un numero ridotto di borsisti, generalmente meno di dieci. Le caratteristiche che faranno dei collegi universitari italiani una realtà differente da quella europea sono i seguenti:
non sviluppano il pieno esercizio, rimarranno realtà minori, chiuse verso l’esternato;
Sono tre i tipi di collegi che ritroviamo nei secoli XIV-XV:
il modello di Spagna di Bologna, nati nel 1364 e ancora oggi in attività, con lo scopo di ospitare venti studenti iberici, all’interno del quale si insegnavano solo materie propedeutiche agli insegnamenti universitari, i quali si tenevano esclusivamente nelle aule universitarie;
il modello della Sapienza di Pisa (istituito nel 1408), all’interno del quale si sposta gradualmente lo stesso Studium cittadino (caso isolato in Italia);
il modello della sapienza di Pistoia (seconda metà del XV secolo), nato in assenza di uno Studium cittadino e volto alla preparazione pre-universitaria degli studenti, i quali poi avrebbero continuato gli studi in altre città, generalmente Bologna o Pisa.
I collegi dei Gesuiti
L’età d’oro dei collegi è senz’altro da datare nell’età confessionale (secoli XVI e XVII) ed è legata all’attività dei gesuiti. Tali collegi saranno basati sulla Ratio Studiorum, elaborata dai primi padri della compagnia, la quale prevedeva:
centralità della disciplina, accanto all’educazione intellettuale e fisica;
divisione degli studenti in classi;
sistema di esame a verifiche periodiche.
Proprio tali caratteristiche fecero preferire alle élite tali per l’educazione dei figli: questa fu una delle cause del declino delle università, battute dalla concorrenza dei collegi gesuitici.
Con la soppressione dell’ordine (1773) furono incamerati da altre istituzioni religiose o secolari, e la Ratio studiorum tenuta in considerazione come sistema di organizzazione degli studi anche per i secoli successivi. Collegi.