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“Dai cavalli alle carrozze, e infine alle locomotive; dal vapore al diesel, e infine all’elettrico: il mondo continua ad accelerare e ad inseguire un sempre più basso impatto ambientale. La tecnologia evolve, giustamente, lasciandosi dietro, ingiustamente, un mondo che solo ieri pareva all’avanguardia, ed oggi è subito obsoleto.”

Siamo a La Spezia, per scoprire un affascinante deposito treni abbandonato.
Ad un grandissimo Museo dei trasporti che prova a valorizzare il vecchio in disuso, si affiancano una serie di depositi, chiusi o a cielo aperto, di mezzi dismessi, tutti nello stesso comune della stessa provincia.

Si va dai più noti Eurostar alle carrozze a vapore. Le prime che vogliamo mostrarvi sono le “elettromotrici Ale601”, utilizzate fin dagli anni ’60 come treni veloci (dai 180 ai 200 km/h) e con un buon livello di comfort (aria condizionata, poltroncine). Intorno al ’90 furono riconvertite per effettuare tratte regionali, col nome di Ale841.
Furono definitivamente accantonate a cavallo tra il 2005 e il 2006.

Nel medesimo posto, salta all’occhio il più recente dei locomotori. Il modello più nuovo, sì, ma fino a ieri. Trattasi di un normalissimo Intercity. Girano ancora oggi con altra livrea. É bastato cambiarne il colore ufficiale, per lasciarne in deposito alcune dozzine di unità: il paradosso del consumismo tecnologico.

La vera chicca di questo deposito treni abbandonato ormai pieno di ruggine è però la macchina a vapore. Le condizioni sono pessime. Le targhe sono deteriorate, il legno marcito. A giudicare dall’altezza delle ruote, trattasi con ottima probabilità di un modello per treni veloci, una GR 640. Arrivava alla velocità massima, da record per l’epoca, di 120-130 chilometri orari. Iniziò a circolare dal 1912 e ne furono costruiti 271 esemplari. La locomotiva era in grado di fornire il riscaldamento a vapore per le carrozze viaggiatori. Il freno era ad aria compressa.
Questi modelli si possono ancora vedere in giro, ma solo come treni storici per tratte speciali.

Più in generale, in Italia, le macchine a vapore vennero impiegate fino ai primi anni ’70. Per ulteriori 5 anni, si continuò ad utilizzarle per il trasporto merci o per manovre, dopodiché vennero definitivamente abbandonate.

Come una perla bianca nel fango che avvolge il deposito treni abbandonato, svetta una meravigliosa garitta ottocentesca. É malconcia ma ancora ammirabile in tutto il suo fascino storico. In questo gabbiotto ligneo prendeva posto il frenatore. Dalla foto, infatti, è visibile il segnale del freno a mano.

Incredibile ma vero. Se prima vi è parso strano leggere freno ad aria compressa per un mezzo a vapore di tale mole, sappiate che nei decenni precedenti esistevano sistemi ancora più rudimentali. Su questi rotabili più vecchi il freno doveva essere azionato a mano da una persona addetta, direttamente sul locomotore.

Il frenatore era colui che svolgeva quel solo e fondamentale ruolo. Prendeva posto dentro il gabbiottino e seguiva da lì tutto il viaggio. Frenava o sfrenava il carro girando quel piccolo volante metallico, sotto comando del macchinista, mediante sonori fischi: in base al numero e al tipo di fischi il comando poteva significare ” frena ” o “sfrena”, “parzialmente” o  “totalmente”. La frenatura a mano e la “parzialmente continua” (metà a mano e metà comandata dalla locomotiva) furono definitivamente abbandonate dagli anni ’40 circa.

Ed ecco qui questo gioiello, giunto a noi purtroppo in queste pietose condizioni.
Capiamo benissimo la difficoltà di rottamare e recuperare tutto il materiale che freneticamente abbiamo prodotto nel recente passato, pensando, ogni volta, che l’ultima tecnologia possa totalmente soppiantare quella precedente.

Unica riflessione, concedeteci di farla: siamo passati dai cavalli alle carrozze, dalle bici alle moto, dalle zattere alle navi, dai telescopi e alle astronavi; ma quando inventeremo sistemi efficaci di smaltimento e riconversione?

Se questo deposito treni abbandonato ha stuzzicato la tua curiosità, ecco una lista di depositi abbandonati. Altrimenti perché non esplorare virtualmente i luoghi abbandonati della Liguria?

L’obiettivo dell’esplorazione è toccare il fondo e la cima, toccare… per vedere se la porta si apre.
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